Sono genitore di due ragazzi che frequentano la scuola superiore e, ispirato dagli utili e convincenti contributi di Andrea Atzeni su questa rubrica, vorrei svolgere alcune considerazioni aggiuntive sul tema del coinvolgimento degli insegnanti RC nell’insegnamento dell’educazione civica.
Occorre anzitutto premettere che, come spesso accade, il nostro legislatore – non si capisce se per distrazione o per deliberata strategia – nell’introdurre l’insegnamento obbligatorio dell’educazione civica ed assegnando il conseguente onere formativo indistintamente a tutti i professori dell’orario obbligatorio, abbia perso un’occasione di chiarezza. Ciò ha consentito che sorgessero questioni che forse non avrebbero neppure meritato di essere trattate in uno stato laico come, almeno in principio, pensiamo sia quello in cui viviamo. E infatti, nessuna norma di legge o di regolamento e nessuna circolare ministeriale affronta ex professo il tema di cui desidero trattare.
A mio avviso questa circostanza avrebbe dovuto indurre gli interpreti ad escludere senza particolari esitazioni gli insegnanti di RC dal novero di quelli a cui affidare l’insegnamento dell’educazione civica; e ciò sulla scorta della semplice considerazione per cui questi possono essere considerati insegnanti dell’orario obbligatorio solo per coloro che si avvalgono del loro insegnamento, mentre non sono tali per coloro che legittimamente hanno deciso di non avvalersene, non avendo alcun obbligo di sostituirlo con altre attività. In altre parole, affidare all’insegante di RC una materia obbligatoria per tutti gli studenti, da svolgere nell’orario riservato all’IRC, graverebbe di un onere indebito gli studenti che non si avvalgono e che in quelle ore non dovrebbero frequentare alcun insegnamento alternativo.
C’è poi il tema della valutazione. Come noto, l’insegnante di RC non può valutare i non avvalentisi e non sarebbe corretto o sostenibile permettergli di farlo semplicemente “cambiandogli il cappello” e qualificandolo come insegnante di educazione civica. E questo anche per una considerazione di carattere generale per cui i diritti hanno sempre una loro dimensione positiva ed una negativa: come si può sostenere che vi sia un diritto di chi si avvale dell’IRC di ricevere quell’insegnamento e di essere valutato conseguentemente, così occorre riconoscere che ve ne sia uno in capo a chi non si avvale di restare estraneo alla materia.
Sul punto pesa anche il particolare status degli insegnanti di RC. Essi, come noto, sono nominati d’intesa con l’autorità ecclesiastica che li “certifica” come adatti al compito e sono tenuti, nel corso del loro incarico, ad attenersi scrupolosamente alle indicazioni dottrinarie della medesima autorità. Se si discostano, sono soggetti al potere disciplinare della Curia che può arrivare a privarli dell’abilitazione, con conseguente obbligo dello Stato italiano di rimuoverli dall’incarico. Questo sindacato nel merito delle tesi proposte a lezione discende dal fatto che nello Stato del Vaticano non vige la Costituzione italiana con i suoi articoli 21 e 33 (libertà di manifestazione del pensiero e libertà di insegnamento). L’insegnamento di RC, derivando dal concordato (una sorta di trattato internazionale tra due Stati sovrani), consente la convivenza nella scuola pubblica di questi due regimi differenti. È però molto importante che questa eccezione rimanga confinata nei suoi stretti ambiti e non coinvolga insegnamenti rivolti a tutti come quello dell’educazione civica. Non sarebbe infatti accettabile sotto un profilo costituzionale che una materia obbligatoria fosse insegnata da chi è sorvegliato nel merito delle sue idee da un’autorità estera che non è soggetta a limiti di intervento, diversamente dallo Stato italiano che obbedisce a norme di rango costituzionale che tali limiti gli impongono in modo molto chiaro.
Nicola Bottero
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