Le iscrizioni in Italia sono in capo alle famiglie. E non, come in altri Paesi, alle scuole, sulla base dei risultati scolastici.
Il modello italiano ha il vantaggio di puntare sulle aspettative, sulle attitudini e sulla preparazione di base, ma lette in modo soggettivo, tanto da rendere, per il 50% circa, superflui i “giudizi orientativi” dei docenti delle scuole medie, non presi cioè in considerazione dalle famiglie.
La conseguenza ce la dice Alma Laurea, con un 45% circa di studenti che, alla fine dei percorsi di studio, ammettono di avere sbagliato scelta di scuola superiore.
Ci diciamo tutti che ciò che conta è la formazione, la quale poi andrà calibrata sulla base, per le scelte post-diploma, della maturazione personale e culturale. Tanto che troviamo giovani con scelte precise di scuola superiore ma con opzioni successive di tutt’altra natura. Con riscontri a volte positivi, altre meno.
I dati delle iscrizioni alle superiori negli anni confermano il primato dei Licei, per oltre il 50%, a scapito degli altri percorsi. E questo è dovuto anzitutto alla formamentis liceale dei docenti delle scuole medie, eppoi alle aspettative delle famiglie. I Licei, in altre parole, hanno una reputazione che, però, non sempre tiene conto degli sbocchi nel mondo del lavoro, se non in forma generica.
I discorsi, cioè, sulla pari dignità tra percorsi di studio, sulle intelligenze multiple, sulle attitudini e passioni che non devono essere sacrificate sull’altare di titoli di studio reputati migliori, sono condivisi a parole, ma disattesi all’atto pratico.
Questo porta al disallineamento tra formazione e mondo del lavoro.
I dati su questa grave criticità perché sono noti.
Quante posizioni lavorative, ai vari livelli, si trovano oggi scoperte in ogni parte d’Italia? Quante difficoltà trovano oggi i responsabili del personale nel reperimento di figure adeguate o disponibili a formarsi alle nuove competenze?
L’attuale blocco dei licenziamenti, lo sappiamo, da un lato ha garantito stabilità sociale, dall’altro ha irrigidito un dinamico mondo del lavoro. Lasciando di fatto scoperte tantissime posizioni, in attesa di una riapertura di questo mondo e dall’altro nella speranza di nuove disponibilità di giovani che escono dai percorsi di formazione.
Quanti, ad esempio, nel mondo della scuola, conoscono l’offerta degli ITS, cioè un percorso biennale post-diploma non universitario, capace di garantire oltre il 90% delle assunzioni a tempo indeterminato da subito?
Ma quanti sono, in Italia, gli studenti che scelgono questa strada, rispetto a percorsi universitari col 50% circa di studenti, per alcune facoltà, che non arrivano alla laurea, o arrivano dopo anni di fuori corso, e molti altri che agguantano lauree senza sbocchi professionali coerenti col proprio percorso di studio?
Un approccio sistemico al mondo della formazione: ci vorrebbe un ripensamento delle varie forme di orientamento, per offrire ai nostri ragazzi delle prospettive concrete di futuro possibile, per abbattere quel disallineamento tra formazione e lavoro che crea i problemi che conosciamo.
Non sono mai sopportabili anzitutto sul piano personale, e poi socialmente, i dati Neet, cioè vedere tanti giovani che non studiano nè lavorano, cioè hanno perso la speranza in un futuro possibile.
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