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Iscrizioni 2020, gli istituti professionali calano di 10 punti in 10 anni, ecco perché

Calano ancora le iscrizioni agli istituti professionali. Prima della riforma del 2010 erano sul 22% stabile. Adesso il dato nazionale è appena del 12,9%. La regione con la più alta percentuale di iscritti è l’Emilia-Romagna (15,5%), seguita da Basilicata (15%), Toscana e Campania (entrambe al 14,5%).

Perché allora, mentre l’istruzione tecnica tiene, e anzi sta andando bene nel Nord del Paese, i professionali continuano a scendere tanto da perdere 10 punti in 10 anni?

La crisi d’identità parte da lontano

  • Le ragioni del declino sono complesse e partono da lontano. La perdita d’identità è iniziata quando, con la riforma Moratti, è stato istituito il cosiddetto doppio canale: da un lato i licei (gli istituti tecnici avrebbero dovuto confluire nel liceo economico e nel liceo tecnologico) e, dall’altro, la formazione professionale di competenza regionale, con la riorganizzazione degli Ips (istituti professionali statali) sulla base di accordi stato-regioni (Legge 53/2003).
  • La successiva riforma Fioroni ha segnato un dietrofront: gli istituti tecnici e professionali avrebbero continuato a far parte del sistema statale dell’istruzione insieme ai licei (Legge 40/2007). L’obiettivo era di valorizzare il ruolo dell’istruzione tecnica e professionale e il collegamento col territorio in una logica di filiera. I criteri di riordino prevedevano: riduzione del numero degli indirizzi, riduzione del monte ore annuale delle lezioni a 32 ore settimanali, potenziamento  delle attività laboratoriali.
  • La riforma Gelmini del 2010 ha completato il riordino secondo i criteri di cui sopra. Gli Ips hanno la funzione di garantire “una solida base di istruzione generale e tecnico-professionale, che consente agli studenti di sviluppare, in una dimensione operativa, saperi e competenze necessari per rispondere alle esigenze formative del settore produttivo di riferimento” (DPR 87/2010).

L’avvio faticoso e la concorrenza con la Formazione professionale regionale

Mantenuti nell’ambio statale, gli Ips diventano percorsi quinquennali, con un primo biennio quasi uguale ai tecnici, e privati della possibilità di rilasciare la qualifica al terzo anno (se non in via sussidiaria, con l’incertezza e le difficoltà che hanno accompagnato questo complicato passaggio). Insomma sono stati percepiti come tecnici di serie B.

Nel contempo, si è rafforzato il canale dell’Istruzione e Formazione professionale (IeFP) di competenza delle Regioni, che ha raccolto un numero crescente di iscritti, con la possibilità di fare anche il quarto e il quinto anno, e di proseguire ancora gli studi a livello terziario. Le Regioni inoltre hanno lavorato molto per l’aggiornamento del Repertorio delle qualifiche professionali, adeguandole alle esigenze del mercato del lavoro e hanno creato un canale competitivo, che oggi ha una sua unitarietà e una sua dignità, tanto da essere scelto da circa 350.000 studenti.

Niente è peggiore dell’incertezza

Mentre con la riforma del 2010 i licei e i tecnici hanno avuto un’immediata definizione dei percorsi, i professionali si sono trovati ad affrontare situazioni in progress, che li hanno penalizzati (la questione delle qualifiche in via sussidiaria, la flessibilità, le opzioni…). Che cosa dire alle famiglie in fase di orientamento, quando ci vuole una comunicazione chiara e precisa, se tutto è ancora nebuloso? Inoltre, anche le poche ore di laboratorio previste dal DPR 87/2010 nel primo biennio e il gran numero di discipline del quadro orario (13 in prima e seconda) hanno scoraggiato la scelta da parte di un’utenza da sempre orientata all’imparare facendo.

La “revisione” del 2017

Dopo anni di declino inarrestabile, il governo Renzi decide di procedere alla revisione della riforma, col D.lvo 61/2017 collegato alla Buona Scuola, in vigore a partire dalle classi prime funzionanti nell’anno scolastico 2018/2019. Gli Ips sono definiti “scuole territoriali dell’innovazione, aperte e concepite come laboratori di ricerca, sperimentazione ed innovazione didattica”, finalizzati a un “saper fare di qualità”. In pratica, si punta a tre obiettivi:

  • Adeguare i percorsi di istruzione professionale alle esigenze del territorio con la ridefinizione degli indirizzi.
  • Evitare sovrapposizioni sia con gli istituti tecnici, sia col sistema di IeFP di competenza delle Regioni.
  • Definire un nuovo assetto didattico, con l’incremento delle ore di laboratorio e la strutturazione del percorso secondo un “Progetto formativo individuale” che prevede l’aggregazione di discipline e l’organizzazione di unità di apprendimento, che rappresentano il riferimento per la valutazione e per il riconoscimento dei crediti.

Ancora stallo

I dati relativi alle iscrizioni per il prossimo anno scolastico 2020-21 indicano ancora un trend in calo. La percentuale è del 12,9%, mentre era del 13,6% l’anno scorso.

I professionali non sono “capiti” dai potenziali utenti, non sono considerati attrattivi, stretti fra istituti tecnici con percorsi collaudati, in grado di comunicare alle famiglie con chiarezza cosa si fa, gli esiti occupazionali, il post diploma, e i Centri di formazione regionali che non mancano di investimenti specifici. Forse anche il personale docente non è stato abbastanza coinvolto e formato al nuovo assetto didattico dichiarato sulla carta. Insomma servirebbero altri interventi su diversi fronti.

Anna Maria Bellesia

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