Nonostante gli sforzi degli ultimi decenni, l’Italia rimane ancora molto indietro sul fronte della scolarizzazione dei suoi cittadini. L’indicazione, che conferma una tendenza in atto da decenni, è contenuta nel rapporto ”Noi Italia”, diffuso dall’Istituto nazionale di statistica il 19 gennaio. Se a questo si aggiunge l’alta percantuale di disoccupazione, la conseguenza inevitabile è che in Italia i giovani fuori sia dal circuito formativo sia da quello lavorativo sta salendo clamorosamente. Tanto che nel 2010 ha raggiunto quota 2 milioni.
Il conseguimento di un numero ridotto di titoli di studio ha varie motivazioni, non ultima la crisi economica internazionale. Tuttavia non può passare inosservato il modesto investimento dello Stato italiano per l’istruzione pubblica, con il risultato che il ritardo dall’Unione Europea rimane sensibile: in Italia l’incidenza sul Pil della spesa in istruzione e formazione è pari al 4,8 per cento, mentre nell’Ue a 27 è del 5,6 per cento. Non bisogna meravigliarsi, quindi, che poi circa il 45 per cento della popolazione italiana tra i 25 e i 64 anni ha conseguito la licenza di scuola media inferiore come titolo di studio più elevato: un valore distante dalla media Ue, dove solo il 27,3 per cento si ferma al conseguimento della licenza media. Ma a destare forse ancora più preoccupazione è l’alta quota dei più giovani (18-24enni) che ha abbandonato gli studi senza conseguire un titolo di scuola media superiore, pari al 18,8 per cento: nell’Ue la media degli abbandoni è del 14,1 per cento. Mentre dalla stessa Unione europea è stato di recente indicato di portare il numero di giovani che lasciano la scuola prima del tempo non sopra il 10 per cento.
E più si sale di livello d’istruzione e di età, più i dati sono poco incoraggianti. Solo il 19,8 per cento dei 30-34enni, ad esempio, ha conseguito un titolo di studio universitario o ha raggiunto un titolo equivalente. Nonostante l’incremento che si osserva nel periodo 2004-2010 (+4,2 punti percentuali) la quota è ancora molto contenuta rispetto all’obiettivo del 40 per cento fissato dalla Strategia ”Europa 2020”.
Ma poiché trovare un’occupazione risulta sempre difficile, cosa fanno allora molti dei nostri giovani? Secondo l’Istat non ci sono dubbi: semplicemente nulla. E ad essere in questa situazione di inattività – fuori dal circuito formativo e lavorativo – sarebbero addirittura 2 milioni di giovani tra i 15 ed i 29 anni (il 22,1 per cento di quella fascia di età). In Europa nel 2010 peggio di noi fa solo la Bulgaria, a fronte di una media europea del 15,3 per cento.
“La quota dei Neet – scrive l’Istat – è più elevata tra le donne (24,9 per cento) rispetto a quella degli uomini (19,3 per cento). Dopo un periodo in cui il fenomeno aveva mostrato una leggera regressione (tra il 2005 ed il 2007 si era passati dal 20 al 18,9 per cento) l’incidenza dei Neet torna a crescere durante la recente fase ciclica negativa, segnalando l’incremento più sostenuto tra il 2009 e il 2010”.
Rispetto a Germania (10,7 per cento), Regno Unito e Francia (14,6 per cento entrambi) abbiamo un altissimo numero di inattivi. Oltre ai Paesi dell’Est, la situazione italiana sul fronte dei giovani che non studiano e non lavorano è simile a quella della Spagna (che con il 20,4 per cento si colloca al quint’ultimo posto dell’ordinamento).
“I divari – continua l’Istat – riflettono in primo luogo il minore inserimento dei giovani italiani nell’occupazione e, in secondo luogo, la loro maggiore presenza nella condizione di inattività (piuttosto che di disoccupazione) rispetto ai giovani degli altri paesi europei. D’altro canto, i risultati danno conto della minore capacità del mercato del lavoro italiano di includere i giovani con il conseguente rischio che lo stato di inattività si trasformi in una condizione permanente”.
Se nel 2010 la crescita dell’area dei Neet ha coinvolto principalmente i giovani del Centro-Nord, in particolare il Nord-est, dove la crisi ha intensificato i fenomeni di non occupazione, la quota 15-29 che non lavorano e non studiano rimane decisamente più alta nel Mezzogiorno: al Sud l’incidenza del fenomeno raggiunge infatti il 30,9 per cento (contro il 16,1 per cento nel Centro-Nord). Campania, Calabria e Sicilia sono le regioni con le quote più elevate (superiori al 30 per cento) seguite da Puglia e Basilicata con valori intorno al 28 per cento. Nel Mezzogiorno il fenomeno dei Neet è inoltre così pervasivo da non mostrare nette differenze di genere: il vantaggio per gli uomini è minimo (28,6 per cento) rispetto a quello delle donne (33,2 per cento).
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