L’Istat, nel suo Rapporto Annuale, riferisce che in cinque anni ci sono state in Italia 64mila nascite in meno, mentre nel 2013 saranno iscritti all’anagrafe poco meno di 515mila bambini, 12mila in meno “rispetto al minimo storico registrato nel 1995”. Se aumenta il numero di stranieri che lasciano l’Italia (+17,9%), c’è un vero boom di italiani che emigrano: il 36% in più del 2011 che è “il numero più alto in 10 anni”. Inoltre nel 2012 hanno lasciato il Paese oltre 26mila giovani tra i 15 e i 34 anni, 10mila in più rispetto al 2008. Istat spiega che negli ultimi cinque anni si è trattato di 94mila giovani, mentre i ragazzi tra i 15 e i 29 anni che né lavorano né studiano, i cosiddetti Neet, sono 2 milioni 435 mila, in aumento di 576mila rispetto al 2008. Per cercare lavoro i 15-34enni ricorrono prevalentemente alla rete informale di parenti e conoscenti (81,9%), inviano curriculum (76,3%), utilizzano Internet (63,6%) e consultano le offerte sui giornali (51,5%). Inoltre, il 39,8% sceglie un canale di intermediazione; il 29,3% il centro pubblico per l’impiego e il 20,8% altre agenzie private. Rispetto al 2008 crescono considerevolmente il ricorso alla Rete (22,1 punti percentuali in più) e al centro per l’impiego (+5,8 punti), specie nel Nord. Le azioni di ricerca considerate più efficaci sono la rete di parenti e amici (lo dichiara oltre un terzo), la richiesta diretta a un datore di lavoro (26,3%) e le precedenti esperienze di stage o tirocinio svolte presso l’azienda (11,8%). Particolarmente bassa la percentuale di chi ha trovato lavoro grazie al centro pubblico per l’impiego (appena l’1,4%) o con altre agenzie private (5,4% dei neo-occupati). Ma l’Istat dice pure che ”l’Italia è uno dei paesi europei con la maggiore disuguaglianza nella distribuzione dei redditi primari, guadagnati dalle famiglie sul mercato impiegando il lavoro e investendo i risparmi”. Inoltre, aggiunge l’Istat, ”nonostante l’intervento pubblico operi una redistribuzione dei redditi di mercato di apprezzabile entità, non inferiore a quella dei paesi scandinavi, in Italia il livello di disuguaglianza rimane significativo anche dopo l’intervento pubblico ”. Anche se nel 2013 poco più della metà degli atipici, ovvero di chi non ha il cosiddetto posto fisso, va avanti con un contratto che dura meno di un anno, per molti la condizione di precarietà si protrae: 527 mila atipici svolgono lo stesso lavoro da almeno cinque anni (erano il 18,3% nel 2008, il 20,2% nel 2013), con incidenze più elevate tra i collaboratori e tra chi lavora nei servizi generali della Pa e nell’istruzione. L’Italia si conferma uno dei Paesi più vecchi al mondo. Con 151,4 persone over-65 ogni 100 giovani con meno di 15 anni, presenta uno degli indici di vecchiaia più alti al mondo. La partecipazione al mercato del lavoro è strettamente legata all’istruzione. Tra gli uomini di 30-34 anni, l’80% di laureati o diplomati è occupato contro il 67,4% di quelli con al più la licenza media; se laureate, le donne sono occupate nel 73,6% dei casi contro il 37,5% di quelle che hanno al più la licenza media. Nel 2013, nella media europea tra coloro che hanno 20-34 anni e hanno concluso il percorso di istruzione e formazione (diploma e laurea) da uno a tre anni, il 75,4% è occupato, contro il 48,3% dell’Italia. La differenza nella quota di occupati tra Italia e Ue è alta soprattutto per i neodiplomati (40,8% contro 69,5%), più contenuta per i neolaureati (56,9% contro 80,7%). L’Italia presenta pure una delle più basse incidenze di laureati: il 16,3% delle persone di 25-64 anni contro il 28,4% dell’Europa. Se si confronta il titolo di studio posseduto dagli occupati e quello richiesto per la professione svolta, spiegano gli analisti dell’Istat, è possibile individuare tre gruppi di occupati: coloro che svolgono una professione adeguata al titolo di studio posseduto (65,6% del totale), coloro che, rispetto a quello richiesto per svolgere la professione sono sottoistruiti, cioè posseggono un titolo di studio inferiore (2,7 milioni di occupati, il 12.5% del totale) o sovraistruiti, vale a dire hanno un titolo di studio superiore (4 milioni 875 mila occupati, il 22% del totale). La sovraistruzione, infine, è in crescita rispetto al periodo pre-crisi (il 23% in più rispetto al 2007), ed è più elevata per le donne (25,3% contro il 21,2% degli uomini), tra i giovani 15-34enni (34,2%) e gli stranieri (40,9%).
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