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Istat: un italiano su due fermo alla terza media

L’Italia rimane distante dall’Europa anche sul fronte dei titoli di studio: dircelo è l’Istat attraverso il rapporto “100 statistiche per il Paese”, presentato il 7 maggio a Roma.
Secondo l’Istituto nazionale di statistica un italiano adulto su due, per l’esattezza il 48,2% della popolazione tra i 25 e i 64 anni, ha come titolo di studio più elevato solo la licenza di terza media. Il dato si riferisce al 2007 e fa sì che il nostro Paese, nel contesto dell’Unione europea “allargata” a 27 membri, si sia piazzato tra i bassifondi della graduatoria. Dati simili all’Italia vengono riscontrati solo in Spagna, Portogallo e Malta. Mentre la maggior parte dei Paesi del vecchio continente fanno registrare una percentuale di cittadini “fermi” alla terza media pari al 30%.
Il divario, ancora una volta, è alto e, come accaduto alcuni mesi fa con i dati Ocse-Pisa 2006, ci colloca in una posizione poco difendibile: in Italia nel 2005 l’incidenza della spesa in istruzione e formazione sul Pil è stata infatti pari al 4,4%, ampiamente al di sotto della media europea che era del 5,1% nel 2004. A preoccupare non poco la situazione italiana vi sono anche altri riferimenti dell’Istat: come quello che dal 2004 al 2007 ha visto nelle regioni del Sud aumentare la popolazione in possesso della sola licenza media di 2,4 punti percentuali. Per non parlare dell’alto tasso di abbandono scolastico: nell’anno scolastico 2005-06 il numero di studenti che ha lasciato la scuola al primo anno delle superiori, che è ancora istruzione obbligatoria, è stato dell’11,1%.
Come se non bastasse, sempre nel 2007 in Italia solo il 75% dei giovani tra i 20 e i 24 anni ha conseguito almeno il diploma di scuola secondaria superiore.
Severo il commento dei sindacati. Secondo Massimo Di Menna, segretario della Uil Scuola i dati Istat confermano la “bassa spesa per l’istruzione del nostro Paese: è questo il vero problema che conferma con i suoi dati la nostra denuncia“.
Se poi si considera anche la spesa per l’istruzione in rapporto all’insieme della spesa pubblica, anche in questo caso più bassa rispetto alla media Ocse – continua Di Menna – si evidenzia che il deficit non è legato al debito, ma è il risultato di scelte politiche miopi che hanno considerato la spesa per l’istruzione più come costo che come risorsa“.
Il sindacato manda segnali di disponibilità al nuovo Governo per “razionalizzare e qualificare la spesa, ma se non si mette mano al portafoglio’ programmando un piano pluriennale di investimenti per la scuola c’è poco da poter fare. I dati sui livelli di istruzione del Paese che l’Istat evidenzia non si cambiano con la bacchetta magica, ma intervenendo con risorse economiche da destinare alla qualità del nostro sistema di istruzione. Anche per innalzare – conclude il segretario Uil Scuola – le retribuzioni degli insegnanti, la vera risorsa professionale del nostro sistema scolastico“.
In effetti, al momento gli stipendi degli insegnanti della scuola italiana sono tra i più bassi d’Europa: malgrado i recenti aumenti di contratto, relativi al biennio 2006-07, gli importi di un insegnante medio italiano rimane di poco superiore ai 1.300 euro al mese.  E per quanto riguarda l’istruzione universitaria, nel Belpaese circa il 41% dei giovani tra i 19 e i 25 anni risulta iscritto a un corso universitario nell’anno accademico 2005-06. Pochi, troppo pochi, ancora una volta, rispetto agli altri Paesi Ue.
Brutte notizie anche per quel che riguarda gli abbandoni scolastici in età di obbligo formativo: l’obiettivo Ue fissato nell’ambito della strategia di Lisbona sarebbe del 10%, ma se nel 2006 il valore medio della Unione si attesta al 15,3%, la corrispondente media per l`Italia è pari a 20,8%. Anche su questo fronte peggio di noi stanno solo Spagna (29,9%), Portogallo (39,2%) e Malta (41,7%). Tra i Paesi più virtuosi, con una bassa percentuale di abbandono degli studi da parte dei giovani, si segnalano invece la Slovenia (5,2%), la Repubblica Ceca (5,5%) e la Polonia (5,6%). Paesi dell’est che forse andrebbero rivalutati. O forse, più semplicemente, da prendere in considerazione per cambiare il nostro sempre più avvilente stato d’istruzione.
Qualche timido segnale, tornando all’Italia, c’è comunque stato: tra il 2004 e il 2007 l’incidenza di abbandoni precoci in Italia è scesa di 2,8 punti percentuali al Mezzogiorno e di 3,6 punti al Centro-Nord. Nel 2007 solo la provincia autonoma di Trento e il Lazio hanno raggiunto obiettivi vicini a quelli di Lisbona (10,6% e 10,9%).Altre regioni con valori contenuti sono Friuli (12,6%) e Umbria (12,7%). Quelle più distanti dai diktat di Lisbona sono Campania (29%) e Puglia (25%). Tra il 2006 e il 2007 gli abbandoni sono aumentati in Valle D’Aosta, Liguria, Toscana, Molise e Campania e, in particolare, il fenomeno risulta preoccupante anche in alcune regioni del Nord tra le quali spiccano le alte percentuali della provincia autonoma di Bolzano e della Valle d`Aosta.
Inoltre, in Italia è alto il tasso di abbandono alla fine del primo anno delle scuole secondarie superiori: il Mezzogiorno è l`area in cui gli studenti abbandonano di più al primo anno delle scuole secondarie superiori, in particolare in Sicilia (15,2%) e in Campania (14,1%). Valori di dispersione scolastica preoccupanti si riscontrano tuttavia anche al Nord – Valle d`Aosta (11,7%) Liguria e Piemonte (entrambe al 10,8%) – e al Centro, dove il tasso di abbandono del Lazio è pari al 11,7%. Le regioni del Mezzogiorno che presentano valori del tasso più contenuti (inferiori alla media Italia di oltre 3 punti percentuali) sono l`Abruzzo e il Molise, con valori rispettivamente pari al 7,7% e 8%.
Il confronto dei tassi di abbandono al primo e al secondo anno delle scuole secondarie superiori, relativo all`anno scolastico 2005-06, evidenzia una minore dispersione al secondo anno: a livello nazionale la differenza tra i due tassi è di 8,5 punti percentuali in media (il valore nazionale passa dal 11,1% al 2,6%). Paradossalmente quando l’obbligo di formazione si sta esaurendo cala anche la percentuale di abbandoni.

Alessandro Giuliani

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