Istituti allo sbando, il Miur taglia i fondi e i dirigenti si aggrappano ai contributi delle famiglie
Nelle scuole italiane la riduzione del Mof, il fondo per il miglioramento dell’offerta formativa attraverso cui il Governo vorrebbe pagare gli scatti di anzianità al personale, sta già producendo i primi danni visibili: dall’inizio del 2014, ogni giorno il sindacato viene a conoscenza di casi di istituti scolastici che lamentano la scarsità di finanziamenti e la conseguente limitazione delle attività ad integrazione della didattica. A Treviso, a causa dei “contributi dimezzati”, sta accadendo che “dopo le attività sportive pomeridiane, rischiano di saltare anche le gite”. A Bologna, addirittura, ci sono istituti dove i corsi di recupero sono tenuti dagli alunni più bravi oppure dagli studenti universitari. Ma una delle situazioni più paradossali si sta vivendo a Firenze, dove le scuole sono sempre più “aggrappate” ai contributi delle famiglie, che arrivano anche a 160 euro l’anno. E siccome in media solo la metà dei genitori versa la quota facoltativa, i dirigenti scolastici stanno protestando contro di loro: perché se neanche le famiglie collaborano, versando le quote richieste, si rischia di “privare i ragazzi di importanti opportunità”. Sempre nel capoluogo toscani, “i dirigenti scolastici, insieme a studenti e famiglie, sono chiamati sempre più spesso a fare scelte dolorose: vale a dire decidere quale dei corsi attivati va cancellato. Spariscono quindi corsi di teatro, di fotografia, corsi di lingua, di recupero, progetti di valenza sociale come quelli sul bullismo e la dislessia”. In effetti, negare alle scuole almeno 300 milioni di euro del Mof, come accadrà quest’anno per coprire un diritto del personale, gli scatti automatici in busta paga, significa in larga parte andare a tagliare risorse dal Fondo d’Istituto: un “tesoretto” con cui ogni scuola può, autonomamente sulla base delle indicazioni dl Consiglio d’Istituto e del Collegio dei Docenti, retribuire le attività definite dall’articolo 88 del contratto collettivo nazionale. Come il particolare impegno professionale dei docenti “in aula” per le innovazioni, la ricerca e la flessibilità organizzativa e didattica; le attività aggiuntive di insegnamento per l’arricchimento e la personalizzazione dell’offerta formativa; le ore prestate dai docenti della secondaria superiore per l’attuazione dei corsi di recupero per gli alunni con debito formativo. Inoltre, sempre con il Fis, gli istituti finanziano una lunga serie di attività, sempre funzionali all’insegnamento, che vanno dalla progettazione e produzione di materiali utili alla didattica alle ore eccedenti le 40 annue massime previste; dalle prestazioni aggiuntive del personale Ata svolte oltre l’orario d’obbligo o per l’intensificazione del lavoro al pagamento extra di due docenti collaboratori del dirigente scolastico; dalle indennità di turno notturno e festivo a quelle per il bilinguismo e trilinguismo; dal compenso spettante al personale che sostituisce il Dsga alla quota variabile dell’indennità di direzione spettante allo stesso direttore dei servizi generali ed amministrativi. Sino ad ogni altra attività deliberata dal consiglio di istituto nell’ambito del Pof. Oltre che gli impegni dei docenti connessi alla valutazione degli alunni e le ore aggiuntive dei docenti tutor degli studenti universitari impegnati nei tirocini.
Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, “se non ci si ferma con la politica all’insegna del risparmio ad oltranza, che danneggia personale scolastico e utenti, alunni e famiglie, la scuola italiana è destinata sempre più ad arretrare la sua influenza formativa. È evidente che il Mof non può essere toccato: è un capitolo di spesa che va fatto confluire per intero agli istituti, senza il quale le attività formative vanno in affanno”. “Non è un caso – continua il sindacalista Anief-Confedir – che sono sempre più gli istituti a dover ricorrere a recuperi scolastici ‘in itinere’, con la didattica bloccata per settimane intere e i docenti impegnati nelle attività di rinforzo e di ripetizione, anziché in orario pomeridiano, nelle ore normalmente dedicate alla didattica ordinaria. Per i dirigenti diventa una necessità, perché è l’unico modo per avviare i recuperi senza pagare i docenti. Solo che a pagare, alla fine, sono tutti gli alunni. Quelli in ritardo, cui viene negata la possibilità di recuperare assistendo a lezioni di qualità. Ma anche quelli bravi. Costretti – conclude Pacifico – a svolgere attività alternative. Invece di fare lezione”.