Se la scuola significa “trenta in una classe con una sola insegnante e la maggioranza dei bambini lasciati a se stessi, la competizione, i voti, il bullismo (…) e gli edifici bruttissimi”, allora la risposta è: homeschooling, la scuola a domicilio, dove la mamma e la maestra sono la stessa persona.
Sulla stampa nazionale il dibattito si fa serrato e su Repubblica si cerca una spiegazione: cosa spinge una famiglia a scegliere l’istruzione domiciliare?
Negli Stati Uniti scelgono di tenere i figli lontani dalla scuola pubblica per un diffuso antistatalismo, nella convinzione che essa trasmetta un’idea corrotta della società, parlando di molti argomenti che per le famiglie dovrebbero restare in capo esclusivamente ai genitori. Costoro hanno votato in massa per Donald Trump che ha promesso anche un voucher.
In Italia l’istruzione domiciliare è legittimato dalla Costituzione sulla base del principio che la scuola non è obbligatoria ma l’istruzione sì e le famiglie vi optano perché spaventate dalla proposta educativa pubblica: scuole fatiscenti, classi numerose, fenomeni di bullismo, sovraccarico di compiti: queste le ragioni fondamentali di chi fugge dalla scuola pubblica.
Ma ci sono anche le ragioni intrinseche: difficoltà ad accettare le frustrazioni dei figli, scetticismo rispetto alla preparazione degli insegnanti, richiesta di autogestione del tempo senza doversi giustificare con l’insegnante di classe, critica diffusa dei programmi di studio, diffidenza nei confronti delle classi multietniche, opposizione ai compiti a casa. E, soprattutto, l’idea di una società incentrata sull’autonomia e l’autodeterminazione della famiglia, in cui l’incontro con l’altro, con idee e opinioni diverse, non è mai un arricchimento ma quasi sempre un pericolo da cui fuggire, per cui al suo interno si selezionano gli argomenti di studio sulla base della propria singola esperienza, e del proprio punto di vista.
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Tuttavia, scrive a sua volta Wired.it, dietro al romantico approccio della scuola domiciliare si nasconde un’altra verità: lasciare che sia il bambino a dettare tutti i tempi dell’apprendimento (e non aiutarlo a comprendere ciò che non capisce) significa annullare la fatica, la frustrazione e la spinta al raggiungimento degli obiettivi.
Parole che adesso fanno paura a molti ma che sono alla base di ogni percorso di crescita e di miglioramento.
Una classe/famiglia in cui non ci sono “bravi e meno bravi”, infatti, non significa soltanto evitare che un figlio possa essere “etichettato o classificato”, significa anche lasciare che il nostro bambino non apprenda quegli elementi basilari della convivenza comune che sono l’empatia, il sostegno del più fragile, il mutuo soccorso, il lavoro di gruppo. Se nessuno dimostra le sue mancanze – evitando di doversi confrontare con quello che non sa – nessuno potrà intervenire ad aiutarlo. Ed entrambi (aiutante ed aiutato) perderanno l’occasione di imparare la capacità di chiedere e ricevere sostegno.
Quando però il bambino passa alle superiori, impreparato a gestire relazioni complesse e la quotidianità scolastica, visto che è stato abituato ad avere la persistente presenza rassicurante della mamma e incapace di attraversare un conflitto extraparentale, ecco che diventa la vittima perfetta dei bulli, quello da cui i genitori lo volevano proteggere.
no.
Ma se è vero che poche cose sono peggiori di una maestra svogliata con un metodo di apprendimento impositivo e violento, d’altra parte un bambino lasciato in balìa del suo istinto si convincerà di non dover fare i conti con nessuno.
Dalla confusione tra ruoli, e dall’assenza di figure adulte extragenitoriali con cui doversi confrontare, il bambino riceverà anche un rinforzo del suo naturale egocentrismo, scrive ancora Wired.it, la convinzione di poter decidere in autonomia i tempi della propria vita, la sensazione costante di essere al centro di un mondo che ruota intorno a lui.
Perché la scuola non è soltanto il luogo dell’apprendimento del programma.
E’ uno spazio di confronto e di esperienza delle relazioni sociali, del rapporto adulto/bambino, della risoluzione del conflitto, dell’acquisizione dell’autonomia, del confronto con gli altri, della scoperta di quello che è distante da noi.
E se è vero che la scuola italiana vive un momento di grossa crisi, la scelta di chiudersi in casa per non assistere al declino, dimostra paura e autoreferenzialità.
Perchè, come diceva il pedagogista Paulo Freire, che ha combattuto tutta la vita per fare emergere il valore profondo dell’istruzione: “Nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo, gli uomini si educano insieme, con la mediazione del mondo”.