Sappiamo tutti che i genitori hanno il dovere di assicurare l’istruzione dei figli minori.
Il nostro ordinamento prevede espressamente il cosiddetto obbligo scolastico, ormai esteso fino a 16 anni dalla legge n. 296 (in pratica, 10 anni di istruzione).
Sappiamo però che è possibile completare il periodo obbligatorio anche frequentando scuole private o paritarie oppure strutture regionali formative.
Un’ulteriore possibilità è data dalla cosiddetta istruzione parentale.
L’istruzione parentale -conosciuta anche come scuola familiare o paterna, o indicata con i termini anglosassoni homeschooling o home education – è prevista dal Decreto Legislativo n. 76 del 2005.
Tale normativa consente alle famiglie di provvedere direttamente all’istruzione dei figli.
E’ però necessario dimostrare di averne la capacità tecnica e darne comunicazione ogni anno all’autorità competente, “che provvede agli opportuni controlli”.
In particolare, i genitori devono presentare annualmente una comunicazione preventiva al dirigente scolastico del territorio di residenza, il quale sarà tenuto a vagliare la fondatezza della domanda.
Gli studenti poi dovranno sostenere annualmente un esame di idoneita’ “per il passaggio alla classe successiva in qualità di candidati esterni presso una scuola statale o paritaria, fino all’assolvimento dell’obbligo di istruzione.”
La scuola che riceve la domanda di istruzione parentale dovrà inoltre vigilare sull’adempimento dell’obbligo scolastico dell’alunno.
Ci si chiede se sia possibile imporre ai genitori di far frequentare fisicamente la scuola, magari ai fini della socializzazione e/o del confronto con i propri coetanei.
La questione è stata recentemente affrontata dalla Corte di Cassazione, con ordinanza n. 23802/2023.
Nel caso in specie, il Tribunale dei minorenni aveva previsto sia un obbligo di presenza fisica a scuola sia un monitoraggio della situazione da parte dei servizi sociali, onerando i genitori a collaborare con questi ultimi.
La Corte d’appello aveva escluso l’obbligo di scuola in presenza , lasciando però in vigore il monitoraggio da parte dei servizi sociali.
Contro questa decisione si erano appellati i genitori, che non avevano ritenuto legittima questa ulteriore forma di controllo.
Secondo la Corte, tale misura non sarebbe di per sé illegittima, ma può essere adottata qualora sia stato accertato un rischio di pregiudizio per il minore, richiamando a tal fine un proprio precedente (Ordinanza n. 27553/2021).
In mancanza di tale accertamento, il controllo rappresenta una, per quanto lieve, misura limitativa della potestà e responsabilità genitoriale.
La Corte ha dunque affermato che i genitori hanno il diritto, costituzionalmente garantito, di provvedere direttamente all’istruzione dei propri figli “senza che i medesimi frequentino istituti scolastici”, seppure sotto il controllo delle autorità competenti e nell’effettivo rispetto delle regole.
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