A dirlo è “The Learning Curve”, il nuovo rapporto sull’educazione livello globale, realizzato da The Economist Intellingence Unit insieme alla casa editrice Pearson.
Le due nazioni dove i sistemi scolastici sono all’avanguardia e che danno i risultati migliori sono dunque Finlandia e la Corea del Sud.
“In un ipotetico G8 dei migliori sistemi educativi, troveremmo molti paesi asiatici (Hong Kong, Giappone, Singapore), pochi europei (Gran Bretagna, Olanda) e la Nuova Zelanda. Per imbatterci nell’Italia, dovremmo invece scendere giù, fino alla 24esima posizione (su un totale di 40), dopo la Germania (15esima) e gli Stati Uniti (17esimi), ma – se ci può consolare – anche prima dei cugini francesi (25esimi) e spagnoli (28esimi).”
Per la prima volta si è provato a costruire un indice globale dei sistemi di istruzione nazionali, mettendo a confronto 40 paesi in base a 60 diversi parametri: dai risultati dei test OCSE-Pisa e TIMSS agli investimenti governativi, passando per gli stipendi del personale docente e il rapporto alunni-professori, senza tralasciare indicatori economici come il tasso di occupazione dei diplomati/laureati, il reddito percepito e il benessere generale di ogni paese.
Il tutto a partire dalla convinzione che la scuola rappresenta un sistema complesso, ma conoscerlo meglio, soprattutto in chiave comparativa, può aiutare a delineare politiche più efficaci.
Gli autori del report citano l’esempio della Germania dove, a partire dai risultati de test Pisa, si è aperto un grande dibattito nazionale che ha portato a significative trasformazioni nell’approccio educativo: ora Berlino può vantare performance decisamente migliori.
“The Learning Curve” conferma che le prime della classe in quanto ad educazione sono la Finlandia e la Corea del Sud: “In un certo senso – scrivono gli autori – è difficile immaginare due sistemi più diversi: quello coreano è molto rigido e orientato ai test, con gli alunni che studiano davvero tanto; quello finlandese, invece, è più rilassato e flessibile”.
Ma, allo stesso tempo, mettendo a confronto altri indicatori, emergono anche alcuni punti in comune tra i due paesi: entrambi condividono una classe docente di alto livello e danno una forte centralità all’educazione sia a livello politico che sociale. Prova ne sono non solo gli investimenti governativi (12% in Finlandia e 15% in Sud Corea del totale di spesa pubblica, a fronte del 9% italiano), ma anche l’equità con cui si accede alla formazione (in Finlandia l’Università è gratuita) o lo status sociale dei docenti.
“La Finlandia rappresenta un caso-studio eccezionale da questo punto di vista – scrivono gli autori del report – I bambini vanno a scuola più tardi; le ore di insegnamento sono di meno rispetto agli altri paesi; non ci sono compiti a casa; gli insegnanti stanno di meno con i bambini. Facendo una stima, si potrebbe dire che gli italiani vanno a scuola tre anni di più”. Eppure, questo non sembra premiare il nostro sistema educativo nella classifica globale.
Nella sua versione online, il report mette a disposizione diversi strumenti di visualizzazione interattiva dei dati. Mettendo, ad esempio, a confronto l’Italia con altre nazioni simili europee (Germania, Gran Bretagna, Francia e Spagna), emergono con chiarezza quali sono i punti di forza e di debolezza. Innanzitutto, il Belpaese investe meno di tutti in educazione (9% della spesa pubblica, a fronte dell’11% in Spagna).
Siamo invece in linea con gli altri paesi in quanto ad anni trascorsi nel sistema scolastico (fino a 16 anni). Facciamo meglio, poi, in quanto a rapporto medio di alunni per docente nella scuola secondaria: 10, fronte dei 12 della Francia e i 13 della Germania. Anche gli stipendi degli insegnanti sono in linea con quelli medi del paese, in una proporzione maggiore, comunque, rispetto a Regno Unito e Francia. Quanto a numero di laureati, l’Italia (31%) è sullo stesso livello di Germania e Spagna (entrambe 29%), ma ben al di sotto del Regno Unito (50%). Resta comunque molto alta la percentuale di laureati disoccupati.
Se gli oltre 60 indicatori presi in esame possono aiutare a capire lo stato attuale della scuola, gli autori ripetono spesso che non bisogna fermarsi alla sola analisi quantitativa. Innanzitutto perché – è questa la prima delle cinque raccomandazioni rivolte a chi si occupa di scuola – “non esistono formule magiche” che possano offrire “soluzioni semplicistiche. Spendere molti soldi in educazione raramente produce risultati (…) Meglio focalizzarsi su obiettivi di lungo termine, coerenti e di sistema”. A cominciare, magari, proprio dalla classe insegnante: “Buoni docenti sono essenziali per un’educazione di alto livello. Trovarli e trattenerli non è solo questione di stipendi alti.
C’è anche bisogno di trattarli come validi professionisti”. Importante è anche il ruolo dei genitori: “Non sono né nemici, né eroi. Meglio sforzarsi di tenerli informati e collaborare insieme”. Infine, un richiamo di dovere all’innovazione: “La maggior parte dei lavori di oggi non esistevano 20 anni fa. I sistemi educativi devono considerare quali competenze avranno bisogno gli studenti nel futuro”. E anche qui, un’altra lezione arriva dalla Corea del Sud, dove da circa 20 anni i docenti fanno corsi di aggiornamento informatico e tutti i libri di testo delle elementari sono già digitali: entro il 2015 lo saranno per tutti gli altri ordini di studi. In Italia siamo ancora alle prime, timide sperimentazioni.
(da http://tg24.sky)
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