Per combattere la mafia servono continuità, condivisione e corresponsabilità: un’azione triplice di cui la scuola deve essere protagonista. A dirlo è stato don Luigi Ciotti, presidente di Libera, ad un mese, il prossimo 21 marzo, dalla “Giornata della Memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie“: l’evento quest’anno prevede anche una manifestazione nazionale della scuola a Roma organizzata dalle segreterie del Lazio di Flc-Cgil, Cisl Scuola e Uil Scuola Rua. Il 21 febbraio, don Ciotti ha partecipato, nell’aula magna del Cpia 4 di Roma, con i tre leader di comparto Gianna Fracassi, Ivana Barbacci e Giuseppe D’Aprile (collegato on line), ad una partecipata assemblea aperta al personale scolastico. Il presidente di Libera, “un’associazione di associazioni” giunta al 29esimo anno di vita, ha spiegato che per combattere le potenti mafie “serve un grande impegno culturale, educativo e sociale: la cultura e la scuola sono importanti, come l’educazione”.
Quindi, ha chiesto: “Come è possibile che l’Italia, culla della civiltà, sia agli ultimi posti per la povertà educativa e la dispersione scolastica, nonostante l’impegno quotidiano che i lavoratori della scuola ci mettono?”.
Don Ciotti ha ribadito più volte che “il lavoro, come la sanità, la scuola e la cultura, sono pilastri fondamentali della società: ma la nostra Costituzione è stata tradita, se siamo qui a dirci questo” dopo decenni di imperversare di mafiosità, oggi ancora più forte di prima. Ecco, ha proseguito, “perché è fondamentale la condivisione: perché è il ‘noi’ che vince. Anche i sindacati, è bene che vadano d’accordo” cancellando “i protagonismi, sempre pericolosi”, ha sottolineato rivolgendosi ai sindacalisti presenti in sala e ricordando che “su certi temi non si può essere divisi”.
Don Ciotti ha dunque chiesto di lavorare per la corresponsabilità, perché si è passati “dal crimine mafioso al crimine organizzato: droga, gioco d’azzardo, usura, ecomafia sono diventate tante parti del fenomeno. Non basta tagliare la mala erba in superficie, bisogna estirparla alla radice. Rappresentanti di polizia e istituzioni hanno perso la vita per questo e va ricordato”.
Quindi, ha esaltato “il lavoro sociale, perché la paura si vince incontrandosi e non blindandosi”. Infine, il leader di Libera ha fatto un appello ai docenti e al personale scolastico perché il 21 marzo si rechino alla manifestazione a Roma contro le mafie.
La “continuità” è importante: Libera va verso i 30 anni di vita, è un’associazione di associazioni che si trova in Africa e America latina. Io rappresento un “noi”, diffidate dei navigatori solitari. Bisogna unire le forze in modo trasversale. E le scuole possono dare un contributo intenso.
Due mesi prima della strage di Capaci incontrai Giovanni Falcone in una giornata di formazione per insegnanti: ci salutammo dandoci un appuntamento per un caffè, non lo abbiamo mai preso.
I segni sono importanti, il giorno della strage di via D’Amelio mi trovavo a Palermo.
Nessuno venga a dire che la mafia al Nord è arrivata negli ultimi tempi: nel 1982, l’anno che vennero uccisi Pio La Torre e Carlo Alberto Dalla Chiesa, ad Aosta c’era l’autobomba per colpire un magistrato ma siccome non morì allora nessuno lo ricorda. L’anno dopo a Torino viene ucciso il procuratore Bruno Caccia. Quindi la mafia al Nord c’era già, come c’era all’inizio degli anni Cinquanta.
Non c’è regione d’Italia che, pure con accenti diversi, può ritenersi esente dalla mafia.
Le iniziative realizzate nella scuola, anche i seminari, sono importanti ma non sono più sufficienti: serve uno scatto in più. Perché nel codice genetico dei mafiosi c’è un imperativo rigenerante: l’ultima mafia è sempre la penultima.
Il lavoro, come la sanità, la scuola e la cultura, sono pilastri fondamentali: ma la nostra Costituzione è stata tradita, se siamo qui a dirci questo.
Nel primo testo anti-mafia, parola che non mi piace, realizzato dalla Dia si spiega perché si salvano pochissime realtà territoriali: i mafiosi si nascondono dappertutto. Dobbiamo essere vigili, attenti.
L’idea di ricordare tutte le vittime innocenti delle mafie, il primo giorno di primavera, nasce dal dolore di una madre per il figlio perso in un attentato mafioso: è giusto essere vicino ai familiari delle tante vittime. Sono stati uccisi anche bambini di tre anni, qualcuno si era illuso che potessero fare da scudo. Invece, la mafia spara anche ai bambini, perché non guarda in faccia a nessuno.
Oggi sparano meno, ma sono più forti. Un magistrato di recente ha detto che potrebbe oggi tornare ad uccidere, se non lo fa è perché è molto forte: i mafiosi viaggiano ad alti livelli, hanno fatto alleanza creando delle agenzie di servizio, finalizzate al riciclaggio che permette di riversare tutto il denaro sporco che in tal modo si “pulisce” e diventa legale. Le mafie hanno così tanto denaro che potrebbero aprire una banca, investono in fondi, viaggiano ad alti livelli.
Anche noi dobbiamo essere forti. Con una memoria viva, con coscienza e consapevolezza. Per questo ci vuole continuità.
La seconda parola da sottolineare è condivisione, perché è il ‘noi’ che vince. Anche i sindacati, è bene che vadano d’accordo. I protagonismi sono pericolosi dappertutto. Su certi temi non si può essere divisi.
La terza parola chiave è corresponsabilità: vogliamo la nostra libertà, collaborando con tutti coloro che fanno cose giuste per il bene comune. Parlare è una responsabilità civile.
Anche quello che abbiamo visto in questi giorni: noi ricorderemo, il 21 marzo, delle persone che hanno pagato con la vita alcune di quelle riforme che oggi vengono smantellate, come il concorso esterno in associazione mafiosa. Ma come è possibile? Magari gli è stata data anche la corona d’alloro. E le stesse persone oggi demoliscono quelle riforme preziose.
Come pure le intercettazioni, che vengono cancellate. Eppure ai ragazzi della polizia devo la mia vita, perché alcuni anni fa bloccarono una persona che stava per spararmi. Quindi, tocca anche a noi farci sentire, non si può sempre delegare.
A Roma il 21 marzo torneranno anche i familiari delle vittime, sperando che non piova.
Sarà importante essere in tanti, per dare un segnale al Paese. Molti genitori porteranno un cartello, con una fotografia: l’80% delle vittime delle mafie non conosce la verità. Con le foto dei loro cari persi chiederanno verità. Senza la quale non si costruisce la giustizia.
L’omertà uccide la giustizia. La mafiosità sono anche gli atteggiamenti quotidiani che vediamo.
Spieghiamo ai ragazzi quello che ha senso: c’è in ballo la carne e la vita delle persone.
Le mafie sparano meno, ma ogni anno colpiscono persone oneste, anche per scambio di persone.
Non esiste un elenco preciso delle vittime della mafia, ogni anno si scoprono nomi di cittadini che allungano quell’elenco.
Il lavoro sociale significa fare toccare con mano le persone che la paura si vince incontrandosi e non blindandosi.
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