Con il termine digital divide si indica la situazione di disparità di accesso a una determinata tecnologia tra differenti zone abitative; tradotto in altri termini, è il gap tra chi può ad esempio navigare in rete grazie a linee a banda larga in fibra e chi, nella stessa nazione, non può neppure usare le vecchie Adsl di velocità inferiori ai 2 Mpbs.
Quando si analizza il fenomeno del divario digitale, è necessario evidenziare una dimensione cognitiva che presuppone l’assenza di conoscenze informatiche minime da parte di un individuo, il quale, pertanto, non è in grado di svolgere le più semplici attività virtuali configurabili nel cyberspazio; e una dimensione infrastrutturale che focalizza l’esistenza di carenze nella disponibilità di dotazioni infrastrutturali e di strumenti telematici necessari a consentire un’efficace navigazione.
Secondo la classificazione maggiormente accreditata in materia è possibile distinguere tre tipi di divario digitale: globale, sociale e democratico.
Il primo si riferisce alle differenze esistenti tra paesi più o meno sviluppati; il secondo riguarda le disuguaglianze esistenti all’interno di un singolo paese; il terzo focalizza le condizioni di partecipazione alla vita politica e sociale in base all’uso o meno efficace e consapevole delle nuove tecnologie.
In Italia si calcola che il digital divide coinvolga circa 7-8 milioni di persone, che non possono accedere alla rete né utilizzando i network fissi, né quelli mobili. Una porzione di popolazione residente soprattutto (ma non solo) nelle aree montane.
Secondo l’International Digital Economy and Society Index (I-DESI), strumento che controlla il livello di digitalizzazione dei vari paesi, l’Europa è in crescita sui temi del digitale ma i progressi non sono sufficienti a ridurre il divario esistente tra gli stati membri: da una parte quelli che sembrano stare al passo con le nazioni mondiali leader dell’innovazione e dall’altra i paesi a medio e basso rendimento che rallentano il progresso digitale dell’UE.
I primi posti della classifica sono occupati da Danimarca, Svezia, Finlandia e Paesi Bassi mentre gli ultimi, con tassi notevolmente inferiori, sono occupati da Slovacchia, Cipro, Croazia, Ungheria, Polonia, Italia, Bulgaria, Grecia e Romania.
L’Italia si posiziona al 25° posto fra i 28 stati membri dell’Unione Europea con un indice di digitalizzazione (strutturato in connettività, competenze digitali di base, utilizzo di Internet e digitalizzazione di imprese e pubblica amministrazione) del 44,3.
Un incremento di quasi 3 punti rispetto al 2017 ma che comunque lascia distante l’Italia di quasi 30 punti rispetto al primo posto della classifica, occupato dalla Danimarca con il suo 73,7.
Ancora violenza a scuola, ancora docenti picchiati da studenti. Stavolta la vittima è un professore…
“Ho sempre pensato che la scuola fosse fatta prima di tutto dagli insegnanti. In fondo,…
Non è facile parlare di Franco Ferrarotti, morto a Roma nella giornata odierna, all’età di…
La FLC CGIL dà notizia della conclusione del confronto tra Ministero e OO.SS. relativo al…
Mercoledì 13 novembre nell'Auditorium del Goethe-Institut di Roma si è tenuta la tredicesima edizione della…
Come è noto Anief ha proclamato un nuovo sciopero della scuola per il prossimo venerdì 15 novembre, al…