Italiani sempre più rinchiusi nella dimensione del proprio privato e indifferenti alla politica. Lo dicono i dati del Rapporto annuale ISTAT 2023. Considerando tutti gli individui di età superiore ai 14 anni, infatti, nel 2022 solo il 26,5% dichiara di informarsi tutti i giorni sulla politica italiana (dato in calo: nel 2021 erano il 30%), mentre il 28,4% ammette di non informarsi mai (26,3% nel 2021). Tra quanti s’informano, l’85,4% lo fa solo attraverso la TV (89,4% nel 2021); i quotidiani servono allo scopo solo per il 27,6% degli intervistati (27,7 nel 2021). Il 64.4% si dichiara non interessato alla politica (63.4% nel 2021), mentre il 23.1% si dice sfiduciato (23.5% nel 2021).
Tra quanti non si documentano mai, prevalgono le persone prive di titolo di studio, o con semplice licenza elementare (45,6% nel 2022, 41,9% nel 2021); tante anche quelle con licenza di scuola media (37,1% nel 2022, 35,9% nel 2021). Quasi tutti coloro che s’informano solo attraverso la TV, hanno frequentato soltanto le elementari (92,1% nel 2022, 94.8% nel 2021).
Tra chi non segue mai la politica italiana, spiccano i giovani in cerca di prima occupazione (49,6% nel 2022, 43,6% nel 2021). S’informano invece tutti i giorni soprattutto le persone ritirate dal lavoro (40,4% nel 2022, 41,7% nel 2021). La TV è l’unico mezzo di informazione per quasi tutte le casalinghe (89,6% nel 2022 contro il 93,5% del 2021).
Tra gli occupati, solo il 27% assume notizie tutti i giorni (erano il 33,3% nel 2021), ma soprattutto dirigenti, imprenditori e liberi professionisti (42,8% nel 2022, 47,4 nel 2021). Circa un quarto degli intervistati si informa qualche volta a settimana (25,6% nel 2022, 25,1% nel 2021), soprattutto se direttivi, quadri o impiegati (28,6% nel 2022, 27% nel 2021). Tuttavia questi ultimi prevalgono anche tra quanti non provano alcun interesse per la politica (57.9% nel 2022, 62.8% nel 2021). Dichiarano “sfiducia” in particolare circa un terzo di direttivi, quadri e impiegati (34,4% nel 2022, 30,9% nel 2021).
La regione in cui la TV è il mezzo di informazione politica prevalente, è la Basilicata (88,7% nel 2022, 94,4% nel 2021), seguita nell’ordine da Umbria, Puglia, Abruzzo, Campania, Molise, Lazio. La radio (che permette maggior distacco e facilità di approccio critico, essendo fondata sulla parola), è più usata come strumento di informazione politica nella provincia autonoma di Bolzano (55,5% nel 2022, 48,9% nel 2021), seguita da quella di Trento, e poi da Lombardia, Lazio, Val d’Aosta, Friuli, Sardegna. L’opinione dei parenti è tenuta maggiormente in considerazione in Calabria (20,7% nel 2022, 28,3% nel 2021), seguita da Basilicata, Val d’Aosta, Lombardia, Toscana, Umbria e Molise.
Un quadro sconfortante. I votanti diminuiscono ad ogni tornata elettorale. Nel 2022, alle elezioni che hanno determinato la vittoria della destra estrema, più di un elettore su tre non ha votato, e l’affluenza alle urne si è fermata al 64% (nel 2018 era stata del 74%), ma in Campania e Calabria è arrivata stento al 50%. Gli stessi che non si interessano di nulla e non vanno nemmeno a votare, sono poi i primi a lamentarsi delle condizioni in cui versa il Paese; ma anche molti di quelli che votano, lo fanno (come dicono i dati) senza informazioni adeguate. Manca — è il caso di dirlo — quell’alfabetizzazione politica di base che permette, in Paesi più civicamente educati, di distinguere a colpo d’occhio uno statista da un ciarlatano, un imbonitore da un leader politico di rilievo, un esaltato da un pensatore, un democratico da un ipocrita.
Scontiamo 40 anni e passa di TV-spazzatura, di grandi quotidiani concentrati nelle mani di pochi grandi gruppi industrial-finanziari, di chiusura consumistica nel privato quotidiano, di edonismo tecnofilo ed egolatrico, di smarrimento totale dell’utopia e di qualsiasi ideale che esuli dal «basta che sto bene io».
Come recuperare il terreno perduto? Come far sì che gli italiani tornino ad esser quelli che negli anni ‘70 riempivano le piazze per solidarietà con i popoli oppressi dalla guerra e dalla dittatura? Quegli italiani che, ancora 20 anni fa, manifestarono in massa contro la guerra americana all’Iraq, mentre oggi sono pochissime le bandiere della pace appese ai balconi.
Che cosa può fare la Scuola? Ben poco, se non le si permette di coltivare le conoscenze culturali degli studenti. Solo chi conosce la storia, la geografia e le scienze può sviluppare in sé quell’amore per la realtà, che spinge gli umani ad interessarsi della comunità civica di cui fanno parte. Il voler piegare la Scuola al ruolo di semplice fabbrica di astratte competenze addestrative senza basi culturali, non potrà che peggiorare la situazione, addomesticando sempre più gli italiani all’ideologia del “post-ideologico”: quell’illusione neoliberistica secondo cui “le ideologie sono finite”, così come i valori e la Storia; l’ideologia secondo la quale tutto è permesso (a chi ha i soldi) insieme al suo contrario; quell’ideologia che serve a dividere per dominare. Ideologia alla quale hanno abboccato soprattutto le classi più povere, ma anche la ex classe media in via di proletarizzazione (e persino molti insegnanti), il cui risveglio è quanto mai necessario ed urgente, per salvare il salvabile.
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