I lettori ci scrivono

Italiani sì, ma aperti al mondo

Alla fine di un giovedì nero che ha visto la nostra penisola umiliata, sia da un’Europa compatta contro di noi, sia dalla divisione delle forze politiche al governo, mi è piaciuto ascoltare, in tv, la diagnosi di Massimo Cacciari sulla situazione italiana. Il filosofo sosteneva che ci troviamo di fronte a masse di gente impoverita, insofferente verso il sistema, disposta ad ogni avventura politica. La stessa tesi presentata, in questi giorni, da un grande giornalista, Ezio Mauro. Nel suo libro “L’uomo bianco”, egli parla di un enigmatico personaggio, ormai disaffezionato dalla politica, che ad un certo punto, si alza dal divano e va a votare, ma solo per compiere una vendetta.

Mi è tornato alla mente un altro libro, quello della sociologa americana Hannah Arendt, Origini del totalitarismo (1951). L’autrice riteneva che i movimenti totalitari europei avessero reclutato i loro membri dalla gente impoverita dalla Grande guerra. Si trattava, anche in quel caso, di una “massa atomizzata”, priva di rappresentanza politica e di orientamenti sociali e pronta, quindi, a gettarsi in avventure demagogiche. Comunismo e nazi-fascismo, con le loro solide strutture esteriori, offrirono all’individuo atomizzato nuovo rifugio e sicurezza.

Harold Lasswell, invece, in “Politica mondiale e insicurezza personale”(1935), sottolineava la cosiddetta teoria della “Terza forza”: il nazi-fascismo come rivincita delle classi medie. Ex combattenti delusi, negozianti e commercianti preoccupati dai disordini sociali, impiegati, tecnici, insegnanti insofferenti degli scioperi, piccoli risparmiatori colpiti dall’inflazione, videro nel fascismo la possibilità di avere un ruolo di maggior rilievo nella società e nella politica.

Bisogna ammettere che si tratta di un quadro che presenta molti addentellati con la presente situazione europea ed italiana. Basta sostituire al fattore destrutturante della guerra quello dell’ultima crisi, ed all’indebolimento del regime liberale, che dominava in Europa nel primo dopoguerra, l’attuale perdita di autorità dei partiti della vecchia politica. Si consideri, inoltre, che anche nella situazione attuale, come allora, c’è chi si è arricchito e chi si è impoverito.

Ci risiamo, dunque. Il sovranismo populista che serpeggia per l’Europa in questi anni, nasce sostanzialmente come reazione alla degenerazione delle democrazie ed all’impoverimento dovuto alla crisi, facendo leva sulla paura ed offrendo, come soluzione, l’antidoto di uno stato forte.

Ma c’è un terzo fattore che non va trascurato. Il cosmopolitismo astratto di questi anni è sembrato a molti come la negazione degli stati nazionali. Abbiamo dimenticato che la nazione è un valore fondamentale. Tutto sta a trovare un equilibrio fra identità nazionale ed appartenenza planetaria. Perché, nazione e mondo, se non vengono assolutizzati, possono interagire a beneficio di tutti.

Com’è bello, del resto, in tempo di pace, osservare la moltitudine di turisti che affolla, ammirata, le nostre città d’arte, e gode dei nostri monti, laghi e spiagge, senza rinnegare la sua cultura. Così com’è attraente, all’inizio di una partita di calcio, osservare gli atleti stranieri esaltarsi, all’improvviso, di fronte ad un’idea più grande di loro e del calcio, quella della patria. Quando capiremo che, per essere rispettabili, non occorre che le nazioni si esaltino e si contrappongano. Basta valorizzare ciò che si è, arricchendoci di quanto ci offrono gli altri. Identità nella diversità.

Forse, però, è arrivato il momento di fare anche una doverosa distinzione fra mondialità ed internazionalismo. La prima è negativa in quanto annulla le singole individualità culturali, generando un unico modo di pensare e di vivere. La seconda è, invece, positiva perché crea l’interazione arricchente fra le culture.

Luciano Verdone

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