L’italiano piace. E non stiamo parlando del maschio italico, ma della lingua italiana all’estero che, nonostante non sia molto spendibile dal punto di vista professionale, continua ad essere tra le lingue più apprezzate e studiate fuori dal nostro Stivale. Soprattutto negli Stati Uniti.
Non solo pizza e spaghetti, nel paese delle stelle e delle strisce il Made in Italy lo fa anche e soprattutto la nostra lingua: secondo recenti dati, infatti, quella italiana è la quarta lingua più studiata nel mondo dopo l’inglese, lo spagnolo e il cinese.
Perché si impara l’italiano in America? Intanto, per business: molte aziende italiane, soprattutto nel settore enogastronomico, continuano ad aprire sedi negli States e conoscere sia l’inglese che l’italiano non guasta. Poi ci sono quelli che vogliono venire in Italia per studiare la storia dell’arte, oppure intraprendere studi classici e necessitano quindi di venire a “sciacquare i loro panni nell’Arno”. Non ultimi ci sono quelli che provengono da famiglie italo-americane e sentono il bisogno di ritrovare, attraverso la lingua, le loro radici. “Il mio dispiacere più grande è non aver mai capito cosa dicesse mia nonna”, mi confidò una volta una ragazza: padre italiano, madre irlandese, aveva trascorso buona parte della sua adolescenza con questa vecchina che si esprimeva, specie quando era arrabbiata, in una lingua incomprensibile.
Non solo le vecchie, ma anche le nuove generazioni di italiani si spostano sempre più spesso negli States, per lavoro soprattutto, e desiderano che i propri figli sviluppino la conoscenza della lingua e della cultura di entrambi i genitori.
Indipendentemente dalla motivazione per cui si impara l’italiano, c’è un elemento di fondo che le accomuna tutte: il bilinguismo. La capacità di conoscere e comunicare in due lingue è, specie nei più piccoli, un elemento in più che fa lavorare un unico cervello due lingue differenti, rendendoli più smart e sicuramente più integrati nella comunità.
Una comunità – quella degli italo-americani – che è ancora molto viva e presente nelle zone come New Jersey e Pennsylvania: è qui che, mentre ero alla ricerca di informazioni sulle scuole di lingua, ho conosciuto Marco Circelli. Un uomo che, assieme a sua moglie Agnese, è arrivato a Philadelphia nel 2000 ed ha pensato di cavalcare l’onda della popolarità della sua lingua madre istituendo una organizzazione no-profit, la Scuola Marco Polo.
Assistere ad una lezione di italiano nella scuola Marco Polo è un’esperienza divertente e formativa, soprattutto dal punto di vista umano: i bambini di età differente – generalmente vanno dai 4 agli 11 anni – si ritrovano ogni sabato mattina in questo grande basement di un istituto nella zona residenziale di Roxborough e per una paio di ore imparano giocando a conoscere e comunicare con la lingua italiana. Con le animatrici/insegnanti, madrelingua, i bambini imparano la lingua attraverso un apprendimento ludico e cooperativo. D’altronde, come ci spiega Marco, la Scuola Marco Polo non vuole sostituirsi alle scuole di italiano, ma vuole essere uno strumento per gli abitanti della comunità – italiani e non – ad integrarsi e interagire.
Affianco ai bambini ci sono i genitori, americani ed italiani, che vedono in queste ore spese a cantare “La bella Lavanderina” e altre filastrocche un modo per agevolare i loro figli a comunicare con entrambi i genitori: non è facile infatti apprendere due lingue all’interno delle mura domestiche e vivendo negli Stati Uniti è l’inglese la lingua prevalente. Perché però privare al bambino il piacere di apprendere la lingua e la cultura di entrambi? Perché non includerli in un contesto di bilinguismo? Già, perché no? Per questo molti genitori preferiscono trascorrere la loro mattinata off dal lavoro con le istruttrici e gli istruttori della Scuola Marco Polo.
C’è di più. Sì, perché la Scuola Marco Polo ha deciso di pensare non solo agli italo-americani che vogliono imparare l’italiano, ma anche a tutti quegli italiani che vogliono venire a Philadelphia, la città dell’amore fraterno, per imparare l’inglese in maniera differente. Il progetto, ci spiega ancora una volta il responsabile, partirà nell’estate del 2019 ma non vuole proporsi come la classica vacanza studio, bensì come un progetto di ospitalità in chiave bilinguista. In pratica si arriva a Philadelphia e si alloggia in sistemazioni familiari, nelle case delle famiglie degli studenti italo-americani della Marco Polo. È qui che si imparerà prevalentemente l’inglese, con persone che sono allo stesso tempo di comprendere l’italiano, in un contesto di code switch che possa agevolare ed alleggerire l’apprendimento della lingua inglese da parte dell’ospite. Bilinguismo, sì, ma anche conoscenza della città e delle sue bellezze, imparare divertendosi insomma, con le due lingue in constante interconnessione. Perché pur vivendo dall’altra parte dell’Oceano, le radici le porti sempre dietro. Ed alimentandole continuamente con linfa vitale si fa crescere la nostra cultura anche in contesti inaspettati, che non potranno far altro che amarla e condividerla.
Angela Iannone