Scrivo per sollevare una questione che personalmente trovo importante ed urgente.
Insegno italiano agli stranieri ma, di fatto, non posso farlo nelle scuole pubbliche. In numerose province italiane, da anni, il numero di studenti neo-arrivati da altri Paesi ha raggiunto numeri importanti. Per questo è fondamentale che le nostre scuole siano attrezzate per accoglierli e dare loro un’istruzione adeguata. In questi casi, il grado di adeguatezza passa imprescindibilmente da come si apprende la lingua del Paese ospitante. Chi impartisce questo particolare insegnamento deve essere specializzato e formato. Perché insegnare italiano agli stranieri, non è come insegnare italiano agli italiani.
L’acquisizione di un buon livello di lingua italiana aiuta non poco l’integrazione di questi alunni nel tessuto sociale e contribuisce alla formazione di nuovi cittadini, che hanno a cuore il loro Paese di adozione. Purtroppo questa è, spesso e volentieri, pura utopia. Da madre, sento spesso un gran numero di genitori che si lamenta dell’eccessivo numero di studenti stranieri nelle scuole dei figli. La loro soluzione è quella di trasferire i propri pargoli in scuole con classi “meno miste”, così che i compagni stranieri non rallentino l’avanzamento del programma.
Ma se invece di pensare a spostare i bambini in scuole monocolore, si pensasse di più a fornire a questi bambini stranieri un’istruzione efficace, in primis passando per l’insegnamento dell’italiano, non sarebbe meglio?
Purtroppo il sistema non aiuta. La classe di concorso A023 raccoglie gli insegnanti di italiano L2, formati, preparati e titolati. Il grosso problema è che, a noi che facciamo parte di questa classe di concorso, viene data la possibilità di insegnare solo nei Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti (CPIA). E i posti per questa CdC nei CPIA si contano sulle dita di una mano. E tutti gli studenti stranieri là fuori? Accusati, loro malgrado, di rallentare l’apprendimento dei nostri figli, perché non capiscono né parlano l’italiano?
Loro sono parcheggiati nelle classi in attesa che imparino l’italiano per osmosi. Oppure, se va meglio, sono affidati ad insegnanti con ore libere che, magari, anche con passione e professionalità, insegnano loro la lingua italiana “in qualche modo”, mentre il loro lavoro e la loro vocazione riguarderebbe ben altro. Nei comuni più impegnati, vengono stanziati fondi per progetti all’interno delle scuole. Progetti che però vengono affidati spesso a cooperative e non direttamente a personale ad hoc.
Ma perché, invece, non inserire nell’organico dei nostri Istituti Comprensivi le centinaia di insegnanti formati, per dare a questi bambini un’istruzione di qualità?
Sarebbe ora che a livello istituzionale si permetta di aprire le scuole di ogni ordine e grado agli insegnanti di italiano L2 e che si utilizzi la loro professionalità per rendere le nostre scuole un luogo di inclusione efficace e di qualità.
Annalisa Lodrini
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