Dopo tanti anni di tentativi andati a vuoto di creare un sistema di formazione per le professioni del terziario, finalmente gli ITS sono una risposta concreta ad una effettiva esigenza in grado di ridurre il tasso di disoccupazione giovanile e la carenza di tecnici specializzati.
Le professioni legate al mondo della trasformazione digitale sono richiestissime dalle imprese a tal punto che oggi l’offerta non copre la domanda (fenomeno denominato di skills shortage).
Se consideriamo l’annoso problema della disoccupazione, colmare questo gap aiuterebbe e di molto il nostro Paese a ridurre il tasso dei senza lavoro.
Soltanto attraverso un adeguato sistema di istruzione e formazione è possibile rispondere alle sfide poste dalla economia della società digitale e proprio per questo motivo è importante analizzare il contributo offerto dagli ITS (Istituti Tecnici Superiori) che operano nell’ambito ICT.
Come avevamo già anticipato come TDS , da dati presi nel 2020, su 187 percorsi conclusi fra il primo gennaio e il 31 dicembre 2018, emerge che l’83% dei diplomati ha trovato un lavoro ad un anno dal diploma e di questi il 92% lo ha fatto in un’area coerente con il percorso concluso. Numeri veramente molto alti che devono essere presi da ulteriore stimolo. Attualmente in Italia ci sono 104 fondazioni ITS con 16mila allievi, ma diverse Regioni si stanno muovendo per promuovere e lanciare altri percorsi formativi con l’obiettivo di aumentare il livello qualitativo dell’offerta e creare maggiore diversificazione puntando in particolar modo alle aree tecnologiche strategiche dello specifico territorio.
Uno dei segreti del successo di questi percorsi formativi è la stretta integrazione tra la scuola stessa e le imprese, promotori in prima persona delle fondazioni che sostengono gli ITS.
Una integrazione resa forte dal fatto che oltre il 60% dei docenti viene dal mondo del lavoro, sono cioè dei professionisti che operano attivamente nel campo e nella specializzazione su cui poi è chiesto il loro l’intervento formativo.
Il nuovo PNRR aveva stanziato un miliardo su 5 anni per lo sviluppo di questi Istituti, in particolare sono previsti 68 milioni già per il 2021 e 48 dal 2022 in poi (vedi articolo completo), segno che il Governo Draghi punta molto a questi Istituti. Gli ITS rappresentano, quindi, un vero asse per lo sviluppo del sistema industriale anche per la ricerca applicata, la prototipazione, la formazione continua, i servizi alle imprese.
Secondo il report “The future of Jobs 2020” del World Economic Forum (Wef), nel 2030 nove lavori su dieci richiederanno competenze digitali avanzate: nuove competenze e professionalità che interessano ormai tutti i settori e funzioni aziendali, un giusto mix tra conoscenze tecnologiche e “soft skill”(fonte Agenda Digitale)
Secondo l’esperto Franco Lucchese “il problema centrale è rappresentato dal digital mismatch, ossia il divario tra le competenze possedute dai lavoratori e quelle che oggi richiede il mondo del lavoro”. La richiesta di competenze digitali sta vivendo una crescita esponenziale, senza un adeguato riscontro in termini di formazione. Un gap formativo che investe tutto il Paese, oggi all’ultimo post per la digitalizzazione e dove solo il 42% delle persone tra i 16 e 74 anni possiede le competenze digitali di base.
Sviluppare ed ampliare percorsi formatici su tematiche innovative dell’ICT, aiuterebbe a ridurre il gap formativo e a fornire alle imprese il personale qualificato di cui hanno bisogno.
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