Sempre più ITS nella testa del Governo, pronto a lanciare un campus in stile universitario con un percorso di studi composto da 4 anni di istituto professionale e due di ITS.
Il mismatch occupazionale, ovvero la distanza tra esigenze delle aziende e la presenza di persone con il know how richiesto è un fenomeno annoso e uno dei problemi più importanti da risolvere per il nostro Paese. Un fenomeno strutturale del nostro mercato del lavoro, da contrastare con strumenti e canali efficaci che consentano di ridurre sensibilmente il tasso di disoccupazione dell’Italia.
Il governo pensa ad una riforma della formazione professionale che potrebbe passare da un modello sperimentale degli ITS: un campus di 4+2 anni, ovvero quattro anni di Formazione Professionale più altri due di ITS a cui i ragazzi potrebbero accedere direttamente. Si tratterebbe nell’idea del ministro dell’Istruzione e del Merito di un vero e proprio progetto di filiera formativa, così come ha spiegato al convegno promosso da Unione Artigiani Milano da attuare con le Regioni, imprese, scuole e sindacato.
Questo annuncio di Valditara sembra raccogliere consensi sia dagli addetti ai lavori del mondo scolastico sia per chi ha uno sguardo all’Europa dove si chiede di allineare l’uscita dalle superiori dopo 4 anni di scuola.
E piacerà molto anche al mondo industriale che da anni finanzia gli ITS tramite le fondazioni con l’obiettivo di avere a disposizione persone specializzate da inserire nelle proprie aziende.
Certamente sarà una strada in salita perché andrà trovato il giusto compromesso tra esigenze e peculiarità territoriali, caratteristica proprio degli ITS.
Un percorso di sviluppo questo degli ITS che potrà avere successo solo con la massima collaborazione tra Stato e imprenditori, con gli stessi imprenditori pronti a salire in cattedra e mettere a disposizione i propri esperti e tecnici a rinforzo della didattica e gli spazi delle loro aziende per la parte pratica degli studi.
Questa degli ITS, non solo di questo nuovo percorso sperimentale, deve essere vista come chiave di apertura sia della componente occupazionale ma anche di sviluppo e mantenimento delle eccellenze italiane in diversi settori dell’industria e dell’artigianato. Il Made in Italy patrimonio di eccellenza ed unicità riconosciuto in tutto il mondo e che oggi è a rischio per mancanza di personale specializzato.
Lo stesso artigianato soffre da anni di questo stato di abbandono e di scarso interesse da parte dei giovani, attratti dalle lauree più comuni e dal lavoro a prima vista più redditizio e con forte possibilità di carriera.
Colpa sicuramente anche delle scelte delle famiglie che da anni spingono i loro figli alla laurea a tutti i costi, mentre invece i dati parlano di artigiani sempre più ricercati e anche ben pagati in alcuni ambiti.
Servono quindi politiche mirate per restituire dignità culturale agli artigiani e manodopera specializzata per non rischiare di far morire attività storiche ed importanti. Professioni che nel tempo si sono anche evolute con l’introduzione del digitale e di soluzioni tecnologiche innovative come i droni, l’utilizzo dei social per lo sviluppo del business.
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