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Ius Scholae, Bernini: “Dieci anni di studio sono un buon presupposto per diventare italiani”, poi rilancia lo Ius Italiae

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March 31, 2025

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Oggi, giovedì 27 marzo, alle ore 17.15, presso la Sala della Regina di Montecitorio si svolge il convegno della rassegna “Pomeriggi popolari”, dal tiitolo “Ius scholae: tempi nuovi per l’Italia?”. A porgere i saluti istituzionali il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli.

Bernini rilancia lo Ius Italiae

Intervengono la ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini, il consigliere spirituale della Comunità di Sant’Egidio Arcivescovo Vincenzo Paglia, l’ex ministro dell’Istruzione Giuseppe Fioroni, l’avvocato Hilarry Sedu, il giornalista ed ex senatore Tommaso Cerno, la psicologa Maria Rita Parsi. Modera Diego Antonio Nesci.

Ecco le parole di Nesci: “Viviamo la società della performance, c’è la paura dell’ansia dell’insufficienza. Il processo della ricerca di senso nasce dalla consapevolezza del potere creativo della parola. Non c’è pensiero senza affetto. Lo Ius Scholae è un tema molto delicato”.

Ecco il saluto breve di Bernini, assente in presenza: “Si tratta di un tema caro per me. L’argomento non investe la sfera politica ma l’autodeterminazione dei giovani, trattato sempre con una polarizzazione. La definizione di cittadino italiano sta cambiando. Lo scorso anno accademico si sono iscritti 134mila studenti stranieri negli atenei italiani. I laureati sono oltre 19mila. Si tratta di ragazzi che hanno deciso di formarsi e vivere in Italia. Le politiche di cittadinanza non sono dogmi, possono e devono mutare per riconoscere il contributo delle nuove generazioni di italiani”.

“L’istruzione è l’elemento fondamentale: dieci anni di studio e formazione possiamo ritenerli un buon presupposto per diventare italiani. Noi andiamo oltre, con una versione 2.0 dello Ius Scholae: lo Ius Italiae, che pone al centro il legame profondo con la comunità. Attraverso la scuola si costruisce il senso di appartenza alla comunità. L’identità di un popolo non si costruisce sull’inclusione ma sulla capacità di accogliere, con radici forti”, ha concluso.

Fioroni: fuori la scuola dalla politica

Ecco le parole di Fioroni: “I temi della scuola dovrebbero essere fuori dall’agone politico. Discutere della scuola e dell’educazione non può farci trascinare nel dibattito politico, come se esistesse la scuola di destra o di sinistra. Abbiamo nuove generazioni che vivono la politica come qualcosa di distante. Dibattere sulla scuola dovrebbe interferire con la coscienza”.

“Dobbiamo aiutare i nostri ragazzi a non avere paura del diverso. La segregazione aumenta la paura. Noi costruiamo una comunità, riusciamo ad abituare i ragazzi ad apprendere cose nuove dai diversi, come stimolo per apprendere cose nuove. Questo è il principio base per qualunque forma di cittadinanza. Il dibattito non mi appassiona; c’è la necessità di avere una risposta immediata, per capire se i ragazzi hanno compreso davvero la lingua e le nostre regole. Da ministro penso che questo non è un problema che riguarda i ragazzi immigrati, riguarda i nostri ragazzi. Se chiediamo ai nostri ragazzi se sappiano la storia del loro paese, le tradizioni, le regole?”

“Abbiamo creato l’autonomia scolastica con l’idea dell’appartenenza che dà identità. L’idea era che la scuola generasse appartenenza. Per essere buoni cittadini la scuola dovrebbe aiutare i nostri figli a conoscere queste cose. La scuola dovrebbe aiutare a farlo, anche a cittadinanza ottenuta. La comunità si costruisce insieme, non sulla paura ma sulla condivisione. Questo è complesso. C’è la necessità di sperimentare che una cittadinanza con la gioia della condivisione è un arricchimento, non una perdita”.

Ecco le parole di Maria Rita Parsi, che ha parlato di prevenzione: “Quando la lezione è fatta per ragionare insieme, non per evitare di fare lezione, quando la scuola è fatta come laboratorio, si ama fare lezione. Questo avviene quando la scuola è un centro culturale polivalente, ci si fanno cineforum, materie nuove, come l’uso virtuoso del virtuale, o educazione sessuale”.

“Il diverso è dentro di noi, va cercato così da non avere paura del diverso”.

Ecco le parole di Cerno: “La scuola ha gli strumenti? Una scuola in cui assistiamo a processi o cause civili per voti negativi che viene giudicato maltrattato da un genitore che neanche lo conosce può essere pronta per dirci se si è integrati o no? Migliaia di ragazzi non hanno ancora diritto di essere cittadini ma lo sono meglio di noi non sanno come dircelo. Tutti noi sappiamo che lì c’è l’Italia. Siamo pronti ad aprire questa riflessione davvero?”.

“Se non affianchiamo la parola dovere accanto a diritto, no. Continueremo a vedere Corvetto e i fatti di cronaca nera perché non siamo in grado di dire che a un certo punto abbiamo smesso di pensare e ci rifugiamo in quello che conosciamo già, finiamo per essere un pendolo e ci aggrappiamo alle ideologie”.

Ecco le parole di Rampelli: “La materia è scivolosa, chiunque si sia trovato alla guida della Nazione non è riuscito a modificare la normativa vigente sulla cittadinanza. C’è una discussione aperta, ma è probabile che l’attuale legge dia una risposta importante. Noi siamo la Nazione che concede la cittadinanza italiana al maggior numero di stranieri presenti sul suolo italiano in Europa. Nel 2023 abbiamo naturalizzato 200mila persone”.

“Abbiamo una responsabilità verso chi ha perso la vita in guerre, moti rivoluzionari, per l’Italia. Bisogna mettere in campo non un coefficiente di ideologia per un applauso, ma bisogna cercare di essere equilibrati, continuare a investire sui processi di naturalizzazione affinché tutti i cittadini che entrano in Italia. La maggioranza delle nazioni europee si affidano allo Ius Sanguinis. Può evolvere? Sicuramente sì, c’è il dovere di approfondimento per capire quale possa essere il punto di caduta”.

“Bisogna capire le conseguenze delle leggi che vengono messe in campo. Anche le decisioni prese sulla regolarizzazione dei migranti sono congelate. Un bambino straniero può essere trattato come viene trattato oggi? Pensando di poter conferire la cittadinanza come elemosina ignorando quasi le sue tradizioni? Ha un senso ragionare ragionare sullo Ius Scholae, lo Ius Italiae: non ha senso pensare allo Ius Soli. Questo discorso non è un tabù, va affrontato con concentrazione. Non si può agire per massimi sistemi”.

“Il crocifisso a scuola? Un pezzo di cultura italiana, non è una costrizione ad aderire alla nostra religione”, ha aggiunto, parlando di Ciampi e dell’equa distribuzione di cittadini italiani e stranieri nelle scuole. “Non è l’uniformità che fa comunità, anzi genera odio. Ti ascolto, ti apprezzo, recepisco il tuo modo di vivere. Spero che questa discussione si faccia senza propaganda, senza paraocchi, senza dogmi, senza la pressione della politica”.

Ecco le parole di Sedu: “La cittadinanza italiana acquisita secondo la legge del 1992 non è una concessione dello Stato, non c’è un potere discrezionale dello Stato. Integrazione significa unire. Un ragazzo che nasce in Italia e cresce qui non è qualificabile come cittadino straniero. Può essere considerato una minoranza etnica, ma su di lui non si può fare integrazione, è già italiano”.

“Se dovessimo considerare lo Ius Soli puro si sanerebbe la posizione di chi entra irregolarmente nel territorio. Quale può essere la soluzione? Chi nasce e cresce qui non può mai voler andare a vivere nel paese di origine. Io in Nigeria sarei considerato uno straniero. Parliamo di soggetti che a livello identitario sono italiani. Lo Ius Scholae non è altro che una linea mediana. Se sei figlio di stranieri, devi mandare i figli a scuola. Il luogo dove si coltivano i futuri italiani è la scuola. Se vogliamo trovare una linea mediana che possa accontentare destra e sinistra è questa. Sono contro il referendum sulla cittadinanza”.