In Parlamento è scontro sullo Ius scholae, un provvedimento con il quale si vorrebbe regolarizzare la posizione di molti bambini stranieri presenti nelle nostre scuole (la questione interesserebbe circa 850mila alunni), dando loro la possibilità di ottenere la cittadinanza italiana alle seguenti condizioni:
Tra i favorevoli anche la Cei, come riportato dall’Avvenire: interviene nel dibattito monsignor Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio, presidente della commissione episcopale per le Migrazioni e della fondazione Migrantes, organismo pastorale della Cei: “La riforma – spiega il presule in un’intervista alle agenzie di stampa – va incontro alla realtà di un Paese che sta cambiando. Spero che le ragioni e la realtà prevalgano rispetto ai dibattiti ideologici, per il bene non solo di chi aspetta questa legge ma anche dell’Italia che è uno dei Paesi più vecchi. Ne parliamo da almeno quindici anni, contrapporre il caro-bollette non ha senso”. La realtà – continua Perego – è “quella di un milione e quattrocentomila ragazzi, dei quali 900mila alunni delle nostre scuole, che aspettano di essere cittadini italiani”.
E va precisato che l’80% di questi 900mila è di seconda generazione: sono cioè nati in Italia ma non sono italiani.
“Un’intollerabile ingiustizia – la definisce il sindacato Flc Cgil – che vede minori crescere vicino a coetanei in tutto e per tutto uguali a loro in classe, ma diversi e discriminati quando escono da una scuola in cui da anni sono a tutti gli effetti italiani: stessi studi, stessi insegnanti, stesse prove, anche se spesso non gli stessi voti”.
La proposta di legge firmata dal deputato 5 Stelle Giuseppe Brescia, nonostante una spaccatura nella maggioranza – con la Lega e una parte di Forza Italia sulle barricate – è stata licenziata dalla commissione Affari costituzionali e punta a modificare una legge sulla cittadinanza vecchia di trent’anni (risale al 1992) che stabilisce che un minore straniero debba attendere i 18 anni per diventare italiano, tra le leggi più restrittive d’Europa.
L‘ostruzionismo della destra in Parlamento ha prodotto 728 emendamenti, molti dei quali con proposte paradossali, esami orali che dovrebbero accertare la conoscenza di feste, saghe, tradizioni culinarie.
In molti ritengono che sul tema dovrebbe scendere in campo la scuola, che ha ben chiaro anche il rapporto tra la cittadinanza e la dispersione scolastica.
Se in Italia la dispersione scolastica nel 2021 è in media pari al 13,1%, tra gli alunni con cittadinanza non italiana arriva al 35,4%. “Le spiegazioni sono tante – chiosa Manuela Calza, della segreteria nazionale della Flc Cgil – ma è chiaro che, come dimostra l’esempio tedesco, l’acquisizione della cittadinanza è uno dei fattori chiave per innalzare i livelli di istruzione e limitare l’abbandono”.
Anche Franco Lorenzoni, maestro e fondatore della Casa Laboratorio Cenci, chiama in causa la scuola. “Chi ha un background migratorio – dichiara il maestro – sconta una sofferenza data da molteplici fattori. La privazione della cittadinanza si aggiunge alla povertà, alle difficoltà linguistiche, ai deficit d’inclusione, perché anche se la scuola fa in tanti casi un ottimo lavoro, è pur vero che esistono ancora scuole e classi ghetto che rappresentano un grande problema, perché è proprio la disomogeneità culturale che rappresenta un importante fattore di crescita”.
Lorenzoni chiama dunque anche la comunità educante a fare uno scatto in avanti. “Il mio appello – conclude – è che a settembre gli insegnanti dedichino a questo tema una grande attenzione: non per fare propaganda, che non amo, ma perché compito della scuola è quello di affrontare i problemi reali delle persone”.
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