Di fronte a dati che dimostrano come in poco meno di cinque anni è più che triplicato il numero di cittadini non comunitari diventati italiani, passati da meno di 50 mila nel 2011 a quasi 159 mila nel 2015, tanto che secondo Eurostat l’Italia è il primo paese europeo per numero di nazionalità concesse la legge sul cosiddetto “ius soli”, il diritto alla cittadinanza nel luogo dove si nasce, non pare peregrina, anzi.
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E allora di che si tratta quando si dice: ius soli “temperato” e ius culturae?
Il Ddl che ha provocato al senato una bagarre nella quale è rimasta coinvolta perfino la ministra dell’istruzione, introduce uno ius soli chiamato, per temperare le opposizioni di destra, “temperato”, vale a dire si concede il diritto alla cittadinanza italiana ai figli degli immigrati nati in Italia purché uno dei due genitori sia in possesso di permesso di soggiorno lungo e residente nel nostro paese legalmente e in via continuativa da almeno 5 anni.
Inoltre può acquisire la cittadinanza (necessaria la dichiarazione di volontà) il minore nato da genitori stranieri oppure arrivato in Italia prima dei dodici anni quando abbia frequentato nel nostro paese un percorso formativo per almeno cinque anni. Potrà anche chiederla chi non ancora maggiorenne sia entrato in Italia, vi risieda da almeno sei anni e abbia frequento un ciclo scolastico ( o un percorso di istruzione professionale) ottenendo un titolo di studio (o una qualifica).