Il documento propone l’istituzione di un organico dell’autonomia, o “organico funzionale” unico, che superi la fastidiosa dicotomia tra organico di diritto e organico di fatto. Ma non approfondisce come si potrebbe organizzare.
L’organico funzionale, per essere definito tale, dovrebbe:
– costituire una certezza, prevedendo tutte le variabili che in una scuola comportano un impegno organizzativo consistente: tempo scuola, curricolo dell’autonomia, ore degli specialisti alla primaria, necessità per la copertura delle sostituzioni urgenti.
– essere noto prima, e non dopo, le iscrizioni. Cioè in quella fase in cui i genitori devono conoscere, come certe, le proposte della scuola.
– essere arricchito, altrimenti non ha senso. Deve poter garantire tutte quelle attività che fanno di una scuola una buona scuola (ampliamento dell’offerta in termini di tempo e di proposte educative, continuità nella garanzia dei servizi, copertura delle assenze)
– essere flessibile, cioè calcolato non aritmeticamente, ma sulla base di una pianificazione seria e puntuale da parte degli istituti scolastici della propria offerta formativa.
– prevedere la gestione di una quota di cattedre per reti di scuole. Qui però bisogna intendersi, perché la questione è complessa. Intanto è necessario definire chiaramente che cosa sia una rete formalizzata stabilmente e come dovrebbe funzionare. Poi, l’affidamento alla rete di una quota di cattedre (e pure di personale Ata) non dovrebbe basarsi sui resti, a consuntivo, degli organici regionali, ma su una progettazione seria di ciò che serve al territorio.
Il concetto è sempre e comunque lo stesso: il superamento di un sistema inefficace e dispendioso, che determina incertezza fino a poco prima dell’inizio dell’anno scolastico, verso una gestione delle cattedre che coniughi con tempestività l’offerta formativa delle scuole, la necessità di farla conoscere alle famiglie all’atto della scelta, l’impegno organizzativo e progettuale.