Oggi parliamo di un uomo di umili origini che con il suo ingegno e un’idea brillante salvò la nazione più potente del mondo da una figuraccia mondiale.
A metà dell’Ottocento la Gran Bretagna era la nazione più potente e ricca del globo, governava i due terzi dei commerci mondiali, produceva la quasi totalità del cotone e la metà del carbone e del ferro di tutto il pianeta. Così quando nel 1849 un funzionario pubblico inglese visitò l’Esposizione di Parigi, pensò che sarebbe stato bello realizzare a Londra qualcosa di simile, ma molto più grande e ambizioso.
Nacque così l’idea di un’Esposizione universale che però andava organizzata in soli sedici mesi. Un’impresa titanica che fra i tantissimi impegni prevedeva anche la progettazione e la costruzione di un edificio enorme, capace di contenere gli innumerevoli padiglioni.
A sei mesi dall’inizio dei lavori, quando la popolazione inglese iniziava a mostrare insofferenza per un’iniziativa così costosa e apparentemente impraticabile, erano stati depositati già 245 progetti, tutti molto brutti o comunque irrealizzabili. I migliori ingegneri del regno erano in netta difficoltà.
A salvare l’incresciosa situazione giunse un talentuoso giardiniere, tale Joseph Paxton. Paxton, nato da una famiglia povera, aveva dimostrato fin da bambino di essere geniale. Un giorno mentre era già diventato responsabile di un giardino botanico sperimentale di Londra ebbe modo di parlare con il duca di Devonshire, uno degli uomini più ricchi del paese più ricco del mondo, il quale, ammaliato dal suo modo di parlare, offrì a questo brillante ventiduenne il ruolo di capo giardiniere in una delle sue tenute. Da qui in poi la parabola di Paxton fu incredibile e nel giro di pochi anni creò giardini stupendi, ripianò debiti ingenti, fondò riviste, scrisse libri, depositò brevetti.
Quando nel 1850 Paxton venne a sapere dell’Esposizione ebbe un’idea a dir poco brillante. In due settimane depositò un progetto che infrangeva tutte le regole del concorso ma che, nonostante le numerose e comprensibili critiche – ma come un giardiniere che costruisce palazzi? – apparve subito affascinante e venne approvato. Paxton voleva infatti costruire una gigantesca serra, di vetro e ferro, come quella dei suoi giardini, luminosa leggera e piena di piante.
L’edificio che venne ribattezzato subito “Crystal Palace” non aveva fondamenta, non richiese mattoni, cemento o malta, ma “solo” 293 mila pannelli di vetro, 33 mila travi e migliaia di metri quadrati di listelli di legno per i pavimenti.
Paxton ebbe anche fortuna perché nel 1838 era stata inventata la tecnica del “vetro tirato” ed erano state abolite le imposte sulle finestre e sullo spessore del vetro, cosa che rese possibile una costruzione del genere. In sole 35 settimane e al costo relativamente contenuto di 80 mila sterline, il Crystal Palace divenne l’edificio più grande e più leggero al mondo, lungo 564 metri, largo 124 e alto 33 ospitò al suo interno, lungo un viale di olmi, 14 mila padiglioni e 100 mila oggetti provenienti da tutto il mondo. Per la prima volta migliaia di persone poterono camminare in un gigantesco ambiente tanto luminoso e leggero da sembrare etereo, rendendo memorabile l’Esposizione universale.
Questa storia ci ricorda ancora una volta come le contaminazioni e la diversità siano oggi come ieri un punto di forza e di crescita. In un mondo come il nostro in cui si punta sempre di più alla estrema specializzazione, non dobbiamo dimenticare che la nostra creatività si nutre di stimoli diversissimi e apparentemente slegati fra loro. Paxton e il suo palazzo ci ricordano come ogni attività umana, svolta bene e con passione, sia fonte inesauribile di ispirazione e di ricchezza culturale.
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