Si moltiplicano nelle aule scolastiche le iniziative di confronto e di dibattito su un tema di grande attualità ed importanza: la libertà del giornalismo d’inchiesta e la censura all’informazione, con particolare riferimento alla vicenda del giornalista Julian Assange, cofondatore di WikiLeaks e attualmente detenuto in un carcere di massima sicurezza inglese, in attesa di una ormai quasi certa estradizione negli Usa dove rischia 175 anni di carcere, come abbiamo dettagliatamente illustrato in un recente articolo che prendeva spunto da una interessante attività didattica – nell’ambito dell’educazione alla legalità e del libero pensiero critico – avviata da una insegnante in un liceo artistico statale di Giussano.
A fare lievitare l’interesse e la riflessione didattica su questa tematica ha contribuito anche il Sisa (Sindacato indipendente scuola e ambiente), che ha portato avanti una campagna per fare conoscere la storia professionale e quella giudiziaria di Assange.
Il segretario generale del Sisa, Davide Rossi, sottolinea: “come Sisa siamo molto lieti che docenti e studenti in diverse parti d’Italia abbiano ripreso in classe il nostro comunicato per trasformarlo in una riflessione didattica condotta in un dialogo franco e aperto. Ciò è a nostro avviso la piena dimostrazione di quanto la sensibilità delle nuove generazioni e di molti docenti sia attenta a questo tema, a dimostrazione di quanto sia necessario offrire alle giovani generazioni l’esempio di una professione, quella giornalistica, da svolgersi non in modo urlato e sguaiato, come purtroppo tanta televisione ci propone, ma con la piena consapevolezza che informare i cittadini in modo completo e corretto sia la sola strada per farne, con le parole di don Lorenzo Milani, cittadini pienamente sovrani”.
Su questa vicenda si sofferma anche uno dei tanti uomini e donne di cultura che hanno sostenuto Assange: infatti Ken Loach, regista inglese di molti film di grande spessore (per citarne solo qualcuno ricordiamo “Terra e libertà”, “La canzone di Carla”, “Bread and Roses”, ed il più recente “Sorry we missed you” nel quale ritorna sul tema dei diritti negati e dello sfruttamento nel mondo del lavoro, della denuncia sociale contro profitto e multinazionali, sullo sfondo di storie personali e familiari) ha evidenziato che “WikiLeaks ha fatto emergere gli sporchi segreti del conflitto in Iraq e molto altro ancora” (tale organizzazione ha inoltre diffuso vari documenti definiti confidenziali sulle operazioni della coalizione internazionale in Afghanistan – dove il conflitto è durato venti anni e già dopo pochi mesi le vittime civili erano migliaia – rilasciandoli anche a testate che verificano l’autenticità del materiale).
“Grazie ad Assange e alla sua organizzazione – prosegue il regista – abbiamo conosciuto l’orrore di crimini di guerra come quelli documentati nel video ‘Collateral Murder’”, parlando anche di “quieta connivenza dei media in questa ingiustizia”.
Loach ha anche scritto la prefazione al libro “Il potere segreto” (riguardante la vicenda di Julian Assange) di Stefania Maurizi, giornalista investigativa che scrive per Il Fatto Quotidiano dopo avere lavorato per anni per il quotidiano laRepubblica e il settimanale L’Espresso.
A proposito del video citato da Ken Loach, si può leggere nel precedente articolo riportato su questa testata quanto proposto mesi fa dalla trasmissione “Presa diretta” del collega Riccardo Iacona, nella quale tra l’altro veniva documentato anche il suddetto video che mostra militari americani che a Baghdad sparano da un elicottero uccidendo obiettivi civili inermi e poi colpiscono anche i soccorritori.
Amnesty International, che ha espresso gravi preoccupazioni anche per il serio deterioramento della salute di Julian Assange (come peraltro fatto notare già qualche tempo fa anche dal ‘Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura’, che ha sostenuto che “la sua prolungata reclusione in una prigione di massima sicurezza non è né necessaria né proporzionata e manca di qualsiasi base giuridica” e come il giornalista australiano sia stato inoltre “sistematicamente calunniato per distogliere l’attenzione dai crimini che aveva esposto”, danneggiandone l’immagine personale) ha lanciato una petizione favore della scarcerazione del giornalista australiano, precisando tra l’altro che “pubblicare informazioni che sono di interesse pubblico è una pietra angolare della libertà di stampa e del diritto dell’opinione pubblica a conoscere le malefatte dei governi. È un’attività protetta dal diritto internazionale che non dovrebbe mai essere criminalizzata”.
Su questo specifico argomento è intervenuta, in una recente nota, la commissaria per i Diritti umani del Consiglio d’Europa (principale organizzazione di difesa dei diritti umani in Europa, da non confondere con l’Ue) affermando che “le conseguenze della possibile estradizione di Assange sui diritti umani vanno ben oltre la sua persona perché le accuse che gli sono rivolte sollevano importanti questioni sulla protezione di coloro che pubblicano informazioni riservate nell’interesse dell’opinione pubblica”. E il 28 gennaio 2020, “l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, all’interno della risoluzione 2317 (2020) Minacce alla libertà dei media e alla sicurezza dei giornalisti in Europa, ha approvato all’unanimità un emendamento con cui indica agli Stati membri di considerare la detenzione e i procedimenti penali contro Julian Assange quale un precedente pericoloso per i giornalisti”.
Nel dicembre 2021 il segretario generale di ‘Reporter Without Borders’ (Reporter senza frontiere), Christophe Deloire, ha dichiarato: “crediamo fermamente che Julian Assange sia stato preso di mira per i suoi contributi al giornalismo e difendiamo questo caso a causa delle sue pericolose implicazioni per il futuro del giornalismo e della libertà di stampa nel mondo”.
Ma nonostante queste autorevoli prese di posizione, pochi giorni fa – dopo che il mese scorso la Corte suprema britannica si era rifiutata di esaminare il ricorso dei legali del giornalista australiano contro la decisione con cui l’Alta corte a dicembre aveva ribaltato il verdetto di primo grado contrario all’estradizione – la Westminster Magistrates’ Court di Londra ha emesso l’ordine formale di estradizione negli Usa per Assange.
Anche il presidente della Fnsi, Giuseppe Giulietti si è espresso sul caso di Assange, per il quale la Federazione internazionale dei giornalisti (IFJ) ha chiesto il “rilascio immediato in un annuncio a tutta pagina sul Times”.
Però su “ilfattoquotidiano.it” un lettore scrive: “io mi sono stancato di leggere proteste e non vedere nessuno protestare seriamente, avete abbandonato Julian Assange al suo destino. Come si faceva una volta, si va li a protestare di persona fino a quando non cambia la situazione. Dovete i giornalisti andare a Londra e far vedere al mondo che” migliaia di “giornalisti stanno là a protestare a oltranza”. Forse basterebbe manifestare nei vari Paesi europei (non solo i giornalisti ma anche tanti altri cittadini) nei luoghi anche istituzionali e nelle trasmissioni televisive per fare sentire la propria voce di dissenso verso questa vicenda che oltre che un fatto personale rappresenta un inaccettabile attacco alla libertà di informazione e al giornalismo d’inchiesta.
Informazioni e documenti che WikilLeaks e quindi Assange hanno ricevuto e non “trafugato”. E questa è la discriminante: Assange, peraltro cittadino australiano, non dovrebbe essere accusato di spionaggio in quanto secondo le accuse mosse negli Usa al militare statunitense Manning è stato proprio l’analista di ‘intelligence’ a fornire documenti riservati. E per il suo lavoro di documentazione giornalistica a Julian Assange – il quale per tali rivelazioni e per la sua attività di informazione e trasparenza in passato aveva ricevuto svariati encomi e riconoscimenti da privati e personalità pubbliche – non può essere mossa un’accusa di spionaggio, come insinuato, direi vergognosamente, persino da una testata giornalistica del mainstream nostrano!
Come abbiamo già scritto, l’Occidente, in una fase storica in cui giustamente si sottolineano situazioni di pesanti censure alla libertà di stampa e di informazione, non può tollerare o peggio nascondere le manovre per cancellare crimini di guerra e diritti fondamentali laddove ciò è perpetrato da “questa parte” del mondo.
Charles Michel, che rappresenta l’Ue come presidente del Consiglio europeo, durante la sua visita in Ucraina ha detto che “la storia non dimenticherà i crimini di guerra”. Osservazione corretta, auspichiamo che intenda tutti i crimini di guerra, dovunque e da chiunque siano stati commessi.
Quella di perseguire con estrema durezza Assange è una scelta contestata in modo assai esplicito anche da Daniel Ellsberg, l’analista militare statunitense citato in un articolo riportato nello scorso mese di marzo da ilfattoquotidiano.it, dove troviamo scritto: “Penserete alla brutalità della lontana guerra in Vietnam: vero, ma allora il famoso Daniel Ellsberg, che svelò i Pentagon Papers (1967) e le porcherie di quell’invasione, facendo tremare l’establishment americano, non venne condannato neanche a un giorno di carcere, perché la sua libertà di fare informazione fu ritenuta superiore alle leggi sulla riservatezza degli atti pubblici. Il caso Assange è davvero diverso, ed è segno della brutalità dei tempi”.
Nell’ottica di quanto scritto nell’articolo appena citato, le democrazie liberali sembrano oggi fare fatica a recuperare quelli che dovrebbero essere i propri valori, la loro vera essenza.
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