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Julio Velasco: “L’allenatore non deve essere amico dei giocatori come i genitori che vanno alle feste dei figli e ballano”

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L’allenatore delle campionesse di volley medaglia d’oro alle Olimpiadi di Parigi Julio Velasco ha rilasciato un’intervista a Il Corriere della Sera in cui si è raccontato, dall’infanzia in Argentina, al rapporto con i genitori fino a qualche commento sull’attualità.

Velasco ha parlato di sua madre, una docente di inglese, che da giovane gli “fece trovare sul letto un piccolo libro sull’educazione sessuale; così, senza dirci una parola”.

“Di notte studiavo quello che dovevo insegnare il giorno dopo”

Poi, ecco alcune battute sulla sua gavetta: “Insegnavo di tutto: corsi di lettura veloce, di memoria, di metodo di studio, di geografia, di ortografia. Di notte studiavo quello che dovevo insegnare il giorno dopo”.

“L’intelligenza non è solo quella teorizzata da Platone e Cartesio. Il cervello funziona in modo specifico. Scannerizzare il campo come fa Messi, o restare in equilibrio sulla trave come Simone Biles o Alice D’Amato, è una forma di intelligenza”, ha aggiunto.

E, sul suo mestiere di allenatore: “Un allenatore, e in genere un leader, non fa nulla. Fa fare le cose agli altri. E deve convincerli. L’allenatore è prima di tutto un insegnante; come convincere? Con l’empatia. Devi capire che l’altro è altro, è diverso da te, e motivarlo con la sua motivazione, non con la tua. Devi fare un po’ come Socrate, che con le domande faceva ragionare, guidava”.

Ius Scholae, l’opinione di Velasco

“È giusto insegnare a competere in modo educativo, fin da bambini, perché la competizione fa parte della vita. L’allenatore non deve essere amico dei suoi giocatori. Non devono fare come i genitori che vanno alle feste dei figli e si mettono a ballare pure loro”, ha proseguito.

Velasco ha anche detto la sua sullo Ius Scholae: “La vera questione è la cittadinanza. Salvini dice che l’Italia è il Paese che ne concede di più: è vero, ma proprio perché vige il diritto del sangue, e basta avere un bisavolo italiano per diventare italiani; mentre non sono italiani ragazzi nati e cresciuti qui. Per fortuna Egonu, Silla ed altre sono diventate italiane prima di compiere 18 anni, quando lo sono diventati i loro genitori: altrimenti non avrebbero potuto giocare in Nazionale”.