Abbiamo vissuto, un mese fa, pagine di tragedia, di solidarietà, di emozione …
Una neve mai ricordata che in alcuni paesi di montagna ha superato i due metri. Una settimana di buio, d’isolamento … Poi, inaspettato, sleale, il risveglio del mostro nelle profondità della terra. Ed ora, la pioggia torrenziale che ha provocato allagamenti, frane, nuovi isolamenti.
Sono sicuro che, quando le ruspe ed i camion dei militari hanno raggiunto le piazzole dei borghi appenninici, dopo più di dieci giorni d’isolamento, si sia ripetuta, in qualche modo, l’esultanza che provarono i nostri padri all’arrivo degli alleati, nel 1944.
Proprio in quei giorni terribili di gennaio, un quotidiano locale titolava a grandi caratteri: “Dio non è abruzzese!”. Un titolo forse inopportuno, piuttosto dissacratorio, ma molto efficace. A tutti sembrava, infatti, che la sorte si fosse accanita sulla nostra regione, oltre che sul centro Italia. Ma io rispondo: Non è vero. In quei giorni, Dio era più che mai abruzzese. Il Dio crocifisso io l’ho visto a Rigopiano, a Campofelice … Nelle donne che piangevano all’arrivo dei soccorsi … Nei vecchi dallo sguardo perso, seduti attorno alle stufe …
No, non siamo vittimisti. Non siamo piagnoni. E’ vero, tutta l’Italia è venuta in nostro aiuto. Ma gli abruzzesi non sono rimasti con le mani in mano … Nei paesi della fascia collinare e submontana, i più attivi si sono dati da fare per ricomporre il quadro della situazione, con attenzione alle case solitarie, agli anziani, ai singoli. Hanno telefonato ai Vigili del Fuoco quando notavano che gli abitanti di una casa isolata non rispondevano al telefono da più giorni o che, guardando a distanza, il fumo non usciva dal camino. Si è mossa una nobile catena di solidarietà che partiva dal basso, che non attendeva lo Stato.
Ma, in Abruzzo, è successo qualcosa di troppo grosso: l’incontro congiunturale fra una neve storica ed un terremoto che ormai ci sta logorando da troppo tempo, togliendoci la forza di reagire.
Come bene ha detto Fabrizio Curcio, capo della protezione civile, in un’intervista: “Nel centro Italia, da alcuni mesi, la gente sta vivendo una situazione da film dell’orrore: oltre 45 mila scosse dal 24 agosto”.
Di fronte a tutto questo, sono sempre possibili due filosofie di lettura: quella della critica e quella della valorizzazione. Io preferisco la seconda. Sarebbe iniquo non pensare alla dedizione, spesso eroica, di quanti, nel gennaio scorso, ci hanno aiutato. Come sarebbe ingiusto ignorare tutto lo sforzo che un popolo – quello abruzzese – ha fatto e sta facendo per reagire a questo ’”annus terribilis”. D’altro canto, è impossibile non denigrare, in qualche caso, l’inettitudine, l’insensibilità, la mancanza di fantasia di alcuni burocrati. Ma il bene, a mio parere, è stato più forte.
A distanza di un mese, siamo alle prese con una serie di problemi. La tendenza degli abruzzesi, stremati da otto anni di terremoti e da un’invernata apocalittica, ad emigrare. Il capoluogo teramano con le scuole ancora chiuse e al gente sfollata sulla costa. Un’ecatombe di bovini, ovini e suini. 250 stalle crollate. Oliveti e frutteti distrutti. 22 strade provinciali chiuse, nel teramano. Quasi tutte le prenotazioni turistiche per la prossima stagione, ritirate.
E’ la crisi economica che si allunga con la sua ombra ostile sul nostro futuro. E, quasi non bastasse, la notizia che il governo non ha riconosciuto all’Abruzzo lo stato di calamità naturale.
Sempre figli di un’Italia minore!