L’accidia viene definita nell’enciclopedia Treccani come “Inerzia, indifferenza e disinteresse verso ogni forma di azione e iniziativa: la condizione che caratterizza molti giovani del nostro tempo, afflitti da assenza di interessi, monotonia delle impressioni, sensazioni di immobilità, vuoto interiore, rallentamento del corso del tempo“.
A scuola l’accidia si presenta nel disimpegno di pochi insegnanti, che hanno perso le giuste motivazioni per esprimere livelli didattici di qualità.
Infatti, spesso l’insegnate accidioso è una persona costretta a fare un lavoro per cui non nutre nessun interesse. Rimane indifferente, indugia nel far lezione, minimizzando errori e negligenze.
Il docente accidioso conosce tutti i risvolti dei suoi impegni e dei suoi compiti, ma pur di non assolverli, ne ridimensiona la portata, convincendosi che si tratti di minuzie e che rimandarle non comporti conseguenze gravi per la comunità scolastica in cui opera. Sono queste le condizioni che una “buona scuola“ dovrebbe ripianare, dando i giusti stimoli culturali ad una categoria di lavoratori spesso maltrattata da normative ballerine.
A tal proposito è utile rilanciare una riflessione di mio fratello Lucio quando scrive: “Un insegnante motivato, ben retribuito e che abbia la considerazione sociale dovuta, è il presupposto necessario per innalzare il livello della qualità dell’insegnamento. Sarebbe ora di finirla con il luogo comune che relega il docente nel ruolo di “missionario”, che per spirito deontologico e di attaccamento alla propria funzione, svolge i suoi compiti in qualsiasi condizione, anche oltre le norme contrattuali“.
Secondo quanto detto, l’istruzione dovrebbe ripartire dalla piena soddisfazione professionale di chi insegna senza se e senza ma. Quindi massima attenzione al cancro dell’accidia e buone riforme scolastiche a tutti.
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