“Collimare”, per un liceo linguistico di Siena, è “la strada tra collina e mare”. È quello che emerso nel corso dell Festival dell’italiano e delle lingue d’Italia, che si è tenuto a Siena lo scorso weekend.
Massimo Arcangeli, già preside della facoltà di Lingue e letterature straniere dell’Università di Cagliari, oggi componente del collegio di dottorato in Storia linguistica italiana dell’Università La Sapienza di Roma, ha raccolto infatti gli strafalcioni più esilaranti (e preoccupanti) tra mille studenti di scuole medie e superiori (più dell’ottanta per cento delle quali licei).
E all’Università le cose non vanno meglio: “uno studio meno recente (2011-2012), si legge su La Repubblica, ma ancora più preoccupante perché compiuto tra i 196 universitari sardi dell’allora preside Arcangeli (141 femmine e 55 maschi), ci dice che il 95 per cento delle matricole non conosce il significato di “ondivago”, l’88 per cento di “coacervo”, l’81 per cento non sa che cosa voglia dire “abulico”, tre su quattro non si orientano su “nugolo”. Fino ad arrivare appunto a “collimare”, exemplum dello stato della lingua italiana tra i nostri studenti.
Il dossier snocciola lo stato della lingua italiana fra gli studenti e appunto i vari significati dati al termine collimare: “al primo anno di università è diventato quattro volte ‘compensare’ («dobbiamo collimare le nostre lacune»), quattro volte ‘riempire’ («collimare un vuoto»), tre volte ‘colmare’.
In sei casi ‘adepto’ è diventato ‘addetto’ («lui è l’adepto alla manutenzione»), una volta ‘adeguo’ («mi adepto a ogni situazione»), in quattro risposte ‘alunno’”.
Si prosegue ancora con “esimere”, che tra gli universitari di Cagliari può essere “dare” («vorrei esimere le mie dimissioni»), “fedifrago” diventa “cannibale”. “Indigente” tutto fuorché povero: affidabile, disabile, esigente, esuberante, inadempiente, indisposto, insistente, irresponsabile. Ecco, «l’afflizione dei nuovi manifesti».
Insomma, la situazione denunciata qualche mese fa dai docenti universitari che hanno scritto al Presidente della Repubblica, è più che reale, in base ai dati raccolti dal prof Arcangeli.
“Oggi il numero di chi scrive in modalità digitale è incomparabilmente elevato, spiega Massimo Arcangeli, ma si registra l’insufficienza di una qualità che proceda di pari passo con la quantità, di una lingua, una logica e una cultura che s’impegnino per andare oltre la superficie e si ancorino a una qualunque terra. Molti dei nostri giovani non riescono a sottrarsi alle insidie dei loop, delle riprese ingenue del già detto, non sanno procedere ordinatamente e non riescono a riprendere il filo del discorso dal punto in cui lo hanno interrotto. Il futuro? La prepotenza visiva dei nostri tempi potrebbe vaporizzare le qualità necessarie per affrontare una pagina scritta”.
Ecco gli errori più comuni: “nei lavori di troppi ragazzi oggi si vedono sviluppi elementari delle trame, continua Arcangeli, accenti fuori posto («loro mi rispettano come io lì rispetto a loro»); concrezioni («non lo mai apprezzato»), ‘che’ polivalenti («ci sono compagni che ho un bellissimo rapporto »), errori di sintassi (‘io spero che non ci saranno più questi gruppi e che diventasse una classe come tutte le altre’).
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