I filologi hanno trovato, fa sapere la pagina culturale del Sole 24 Ore, testi poetici databili agli ultimi decenni del secolo XII o ai primi del XIII in aree eccentriche rispetto a quelle in cui nasce e si sviluppa, nel secondo quarto del Duecento, la tradizione cosiddetta “siciliana”: si tratta, precisamente, della canzone “Quando eu stava”, scoperta da Alfredo Stussi in un’antica pergamena ravennate, e del frammento piacentino “Oi bella” scoperto da Claudio Vela (2005).
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Ma il quadro, si legge sul Sole 24 Ore, cambia di nuovo, e non per un dettaglio, perché Nello Bertoletti ha scoperto (non in un archivio ma tra le carte di un manoscritto della Biblioteca Ambrosiana) e pubblicato un nuovo testo poetico delle origini che comincia così:
Aiuta De’, vera lus et gartaç, rex glorïoso, segnior, set a vu’ platz, chìa mon conpago sê la fedel aiuta. E’ nun lo vite, po’ la note fox veiota.
Ovvero, nella traduzione offerta dallo stesso Bertoletti: «Sii d’aiuto Dio, vera luce e splendore, re glorioso, signore, se a voi piace, siate il fedele aiuto del mio compagno. Io non l’ho visto, da quando si è vista la notte».
Il testo prosegue per altre quattro stanze, nelle quali l’io poetico, dopo aver invocato Dio, si rivolge a un «Bè conpagnó», cioè a un «Bel compagno», invitandolo a svegliarsi, perché l’alba si avvicina.
Alba è appunto il nome del genere poetico a cui questo testo appartiene, genere (o piuttosto motivo) diffuso in molte letterature, ma da un lato poco o nulla presente in quella italiana (giusto qualche traccia nel Duecento, nei cosiddetti Memoriali bolognesi), dall’altro invece vitalissimo fra i trovatori.