L’apprendimento? Dipende dalle esperienze visive dei primi tre anni di vita
Il nostro sistema percettivo si ricorda dell’esperienza al quale è stato esposto nei primi tre anni di vita e la utilizza per gli apprendimenti successivi che risultano così facilitati: imparare, ad esempio, a riconoscere i volti di una particolare classe di età ne facilita il riconoscimento se è acquisita nei primissimi anni di vita, ma non ha nessun effetto se acquisita in età adulta. A dimostrarlo è stata una ricerca condotta da un team di studiosi dell’Università di Milano-Bicocca, guidato dalla professoressa Viola Macchi Cassia del Dipartimento di Psicologia.
Lo studio, il cui titolo originale è Early Experience Predicts Later Plasticity for Face Processing, è appena stato pubblicato sul sito della rivista Psychological Science e, a luglio, sarà disponibile anche nella versione cartacea.
Le conclusioni dei ricercatori sono state realizzate alla lice dei risultati emersi studiando la capacità di riconoscere volti di neonati in bambini di tre anni, in donne adulte madri al primo parto di un bambino o bambina di 9 mesi e che, nei primi 3 anni di vita, hanno o non hanno avuto un fratello o una sorella minore senza avere avuto nel corso della vita altre particolari esperienze con bambini di età inferiore ai 3 anni, e in donne adulte prive di qualsiasi esperienza con bambini (non esperte), eccetto quella derivante dall’avere avuto un fratello o una sorella nei primi 3 anni di vita.
La nascita di un fratello minore nei primi 3 anni di vita ha consentito ai ricercatori di studiare gli effetti immediati (nei bambini di 3 anni) o a lungo termine (nel caso delle donne adulte non esperte) dell’esperienza precoce con un neonato. La nascita di un figlio ha consentito di isolare nelle madri al primo parto gli effetti dell’esperienza acquisita in età adulta sul riconoscimento di volti di neonato.
In tutti gli esperimenti è stato utilizzato un compito di riconoscimento a scelta forzata tra due alternative nel quale è stata misurata l’accuratezza della risposta di riconoscimento alla presentazione di 48 volti di neonati e 48 volti di giovani donne tra i 20 e i 30 anni presentati con orientamento dritto ed inverso, tutti in bianco e nero e fotografati in visione frontale con espressione neutra. Ai partecipanti veniva presentato un volto al centro dello schermo di un computer per un tempo prefissato (5 secondi per i bambini e 1 secondo per gli adulti), e subito dopo due volti tra i quali il soggetto doveva indicare il volto appena visto, indicandone la posizione sullo schermo per i bambini, e premendo il tasto corrispondente per gli adulti.
I risultati hanno dimostrato che, mentre i bambini con fratello o sorella minore riconoscono i volti di neonato in modo più accurato e utilizzando processi percettivi maggiormente specializzati rispetto ai loro coetanei che non hanno un fratello o una sorella più piccola, la nascita di un figlio nelle donne adulte non influenza in alcun modo i processi percettivi e l’accuratezza del riconoscimento dei volti di neonato. L’unica condizione nella quale l‘esperienza acquisita in età adulta dalle madri ha un effetto sul riconoscimento dei volti di neonato è quella in cui l’esperienza tardiva si somma all’esperienza precoce acquisita nei primi 3 anni di vita, come accade nel gruppo delle madri con fratelli o sorelle minori.
“Questi dati – commentala professoressa Macchi Cassia, ordinario di Psicologia alla Bicocca –dimostrano per la prima volta che l’esperienza visiva precoce, ossia quella alla quale siamo esposti nei primi anni di vita, ha una capacità di plasmare e influenzare i nostri processi percettivi molto maggiore rispetto a quella acquisita in età adulta, tanto grande da produrre effetti che rimangono latenti nel corso dello sviluppo, pronti a riattivarsi dopo molti anni, alla comparsa di una nuova esperienza. In sostanza – ha concluso la docente universitaria – l’esperienza precoce è in grado di preservare il sistema percettivo dalla perdita di plasticità che naturalmente avviene nel corso dello sviluppo”.