L’assunzione dei precari non può avvenire tramite referendum: per superarla, serve una nuova legge che superi la 107 del 15.
Lo ha detto Massimo Villone, professore ordinario di Diritto costituzionale all’Università degli Studi Federico II di Napoli, parlando dei quattro quesiti referendari, nel convegno tenutosi il 16 marzo a Roma, “La Buona Scuola: profili di incostituzionalità”.
Concentrandosi sul loro aspetto giuridico, l’esperto di diritto ha tenuto a dire che “si è posta innanzitutto la questione se porre il quesito principale, quello sui poteri del dirigente, interamente abrogativo. Però l’opinione dei costituzionalisti, incluso me, è stata negativa. Si sarebbe rischiata l’inammissibilità, perché praticamente sarebbe diventato impossibile il servizio scolastico come tale in quanto la 107 è una legge talmente pervasiva che cancellarla tutta, con la posizione della Corte Costituzionale sulla non reminiscenza della legge abrogata, avrebbe creato probabilmente un vuoto normativo non superabile. Ecco perché la scelta di quesiti parziali”.
Villone si è espresso sul licenziamento dei precari dopo 36 mesi e ha spiegato che il referendum è uno strumento di contrasto limitato: “Ci sono punti della legge che non era possibile raggiungere con il referendum. Bisogna tener conto che il referendum è una cosa che toglie. Non si riesce a dare una stabilità ai precari con un referendum abrogativo, là ci vuole un percorso legislativo in senso proprio e il referendum da questo punto di vista ha dei limiti non superabili”.
Durante l’incontro, è stato ribadito che la battaglia contro la Legge 107/15 non si ferma solo alla scuola, ma è questione che chiama in causa la democrazia di tutta la cittadinanza.
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Lo scopo del convegno voleva essere informare, trovare e proporre, attraverso un confronto costruttivo, una via tutta nuova da percorrere: far prendere coscienza di cosa sta accadendo all’istruzione italiana. Perché, hanno spiegato i relatori, ciascuna categoria di lavoratori, ciascun cittadino, si sente coinvolto dalle vicende che lo riguardano più da vicino, bisogna però allargare lo sguardo e aprire i propri orizzonti per poter vedere l’insieme nel quale si vanno ad inserire tutti i singoli casi. E forse la scuola è proprio la guida più adatta per poter riuscire in questo.
Tra i relatori c’erano anche Antonio D’Andrea, professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Brescia. Che ha voluto ricordare le incostituzionalità formali del procedimento: “Votare delle leggi in questo modo rappresenta un’illegittimità di tipo procedurale perché incostituzionale. La 107 è una legge che nasce con una forzatura procedurale.”
Il professore vorrebbe quindi che ci si scagliasse anche contro questo: “È importante insistere sulle nefandezze procedurali della Buona Scuola, mettendo in evidenza il disimpegno costituzionale di chi occupa cariche istituzionali di un certo rilievo”, ha concludo il giurista.
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