Per la Gilda è intervenuto Fabrizio Rebeschegg, il quale ha dichiarato: “Vi sono alcune parti che riteniamo inemendabili (si vedano in particolare gli articoli 7, 8, 12, 21 e 22) e come tali da cassare e rimodulare complessivamente poiché partono da una visione (e concepiscono una struttura) del sistema scuola che non possiamo condividere, come cittadini di questa Repubblica”.
Tutto il DdL appare sbilanciato su una visione di scuola che non appartiene ai principi ispiratori dell’Istruzione pubblica contenuti nella Costituzione.
La Fgu-Gilda degli Insegnanti continua a ritenere che la Scuola pubblica statale non possa essere considerata un semplice servizio all’utenza o, peggio, un servizio a domanda individuale.
Per la Costituzione italiana la scuola pubblica statale è un’istituzione della Repubblica finalizzata a garantire il diritto allo studio di tutti i cittadini, che deve essere caratterizzata da un progetto culturale unitario e coerente a livello nazionale pur garantendo adeguati spazi di progettazione autonoma da parte delle singole istituzioni scolastiche.
In questo senso la funzione dell’insegnante ha caratteristiche completamente diverse da quelle che identificano la figura e la funzione impiegatizia, modello che sembra invece essere punto di riferimento implicito nel DDL.
La valenza pubblica dell’insegnare risiede nella Carta Costituzionale all’art 33 da cui discende il D.L.vo 16 aprile 1994, n. 297 (parte III, titolo I, Capo I), secondo il quale la “funzione docente è intesa come esplicazione essenziale dell’ attività di trasmissione della cultura, di contributo alla elaborazione di essa e di impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione umana e critica della loro personalità”.
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