Il Fatto Quotidiano riporta questo ulteriore caso di deriva dell’educazione, citando l’indignazione furibonda dei genitori della ragazzina, che esigono di conoscere il nome del colpevole per estrometterlo dalle amicizie della figlia, ma c’è pure la consapevolezza che ormai in rete e no, tra le interconnessioni digitali e il traffico di video e foto le parolacce e gli insulti sono lo scherzo quotidiano. Fra l’altro a scuola la vita è più dura, perchè l’istituzione non può fare l’occhiolino e risulta rigida, antiquata. “Dire stronzo al compagno di banco è come dire sciocchino – spiega Claudia, maestra da vent’anni alle elementari -. Una volta li mandavamo dalla preside per una parolaccia, ormai non si può più: tra i bambini di 8-9 anni gli insulti più grevi sono la normalità. ‘Fanculo, ci dicono”.
“Eh, l’altro giorno uno ha dato un morso troppo grande alla merendina dell’amichetto e si è sentito chiaramente un ‘ciccione di merda’ volare in mezzo al cortile – spiega la bidella -. Mi si è gelato il sangue. I bimbi hanno continuato a urlare e correre come niente”.
Mimare il vomito sulla spalla del vicino o minacciare un “ti cago in faccia” è insegnamento tratto da cartoni edificanti come “A tutto reality”. Gestacci dell’ombrello e formule semplici tipo “dai, cazzo!” derivano invece dalle serie tv stile “I soliti idioti”, caroselli consumati prima di cena mentre i grandi cucinano.
Che fare allora? Cosa dovrebbe inventarsi la scuola per gestire questi nuovi linguaggi e queste nuove forme di comunicazioni cha attingono da esempi e comportamenti sponsorizzati da personaggi pubblici che assurgono a miti per i ragazzi? Eppure quando qualcosa non rientra nei quadri che una certa cultura dipinge, tutta la colpa è dei docenti e della loro insipiente strafottenza
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