Il presidente è un sessantenne, ma insulso, stravagante e dandy, conosce poco della sua disciplina e in più promette promozioni e voti che non può mantenere.
Inquisitorio il professore di scienze, appartiene al gruppo dei ripetitori di manuali e il dibattito scientifico non gli interessa, anzi ritiene quasi un insulto alla scienza che tre studenti, fra i migliori, presentino come argomento del colloquio rispettivamente scritti sulla necessità di una coesistenza dell’agricoltura biologica con quella Ogm, sul confronto bioetico riguardante l’inizio della vita, sulla clonazione.
Nei tre argomenti il professore dimostra di non avere idea di cosa si stia parlando, penalizzando i ragazzi.
L’insegnante di scienze trova una sponda nella commissaria di lingua e letteratura spagnola, una bella ragazza del sud innervosita dal fatto che alcuni studenti, soprattutto ragazze, abbiano un’autonomia cui non sono disposti a rinunciare, neppure di fronte alla sue minacce.
La giovane collega di spagnolo è l’esempio della frustrazione tanto diffuse nella scuola italiana da essere comuni ai tre macrogruppi nei quali ho ordinato i miei colleghi (i chiacchieroni insipienti, gli inquisitori ignoranti, i frustrati insofferenti) e persino a quello cui appartengono i pochi che nella scuola insegnano continuando a studiare.
Altrettanto trasversale è l’attenzione a non prendere posizione mai al punto da infischiarsene delle valutazioni scorrette dei commissari. Va da sé che i docenti capaci di formare i giovani faticano molto in questa situazione: insegnare è esercizio della paideia, di una Bildung volta a favorire nei giovani consapevolezza di se stessi e del mondo.
E conclude: chi continua a ritenere l’insegnamento uno dei tratti qualificanti di un paese che voglia dirsi civile è ancora più convinto che la scuola vada riformata a partire dagli insegnanti: essi vanno valutati periodicamente e rigorosamente, anche perché è paradossale che chi valuta per mestiere non possa essere, a sua volta, valutato.
Se ciò non accadrà sarà inutile e vana ogni proposta volta a innovare saperi e strumenti didattici.
“Per quanto mi riguarda a settembre entrerò nelle quinte spiegando agli studenti che alla fine dell’anno non dovranno aspettarsi necessariamente un riconoscimento del loro impegno e del loro lavoro poiché gli esami, questi esami, sono privi di razionalità, quindi del tutto imprevedibili. Un’esperienza inutilmente costosa per lo Stato, faticosa e deludente per chi abbia la sventura di doverla subire”.
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