Per quanto riguarda gli esami di stato, attorno a cui ci sono tante opinioni, come quella di abolirli, la prof Ajello, presidentessa dell’Invalsi, è chiara: “Sicuramente potrebbero essere apportare delle migliorie che spettano però al ministero dell’Istruzione. Si potrebbe discutere anche sulla terza prova, adottando il metodo dell’Invalsi e quindi omologare almeno la tipologia della verifica a seconda degli istituti o ad esempio inserire delle prove diverse rispetto agli scritti e all’orale”, ma si potrebbe pure, dice Ajello, “sfoltire poi la tesina, adottando invece degli elaborati video, o verifiche pratiche anche per istituti non professionali”.
Per quanto riguarda invece i costi, i circa 100 milioni di euro che si potrebbero destinare ad altro, Ajello chiarisce che non si può fare “economia sull’istruzione, non è la politica più saggia che un Paese deve perseguire, considerato il fatto che in Italia, rispetto ad altre realtà internazionali, si investe già molto poco. Rimodulare sì, tagliare no”.
Inoltre, continua la presidentessa Invalsi: “L’esame di maturità non è una verifica selettiva. Serve agli studenti per crescere. In tutti gli stati europei ma anche d’Oltreoceano, le verifiche sono all’ordine del giorno e non di rado sono anche molto difficili. Sono dunque molto importanti, perché permettono al giovane di misurare la propria preparazione, di sviluppare meglio la personalità, riuscendo a capire dove e come migliorare. Il fatto che siano tutti promossi, poi, non significa che l’esame è inutile, giacché i voti non sono tutti uguali, al contrario”.
“Non siamo di fronte a un concorso pubblico. La maturità è l’ultimo step di un percorso formativo. Ciò significa che il merito emerge durante gli anni e la prova serve a stabilire il valore di quel merito e di quelle capacità acquisite”.
Se c’è un limite negli esami di stato, non riguarda i differenti risultati fra i ragazzi del nord e quelli del sud, ma “è quello di non avere degli standard univoci. Mancano regole comuni per la verifica e, di fatto, questo risultato – che parla di un numero di eccellenze maggiore nel sud del Paese, piuttosto che al nord – è poco attendibile. Ogni regione d’Italia, così come ogni scuola, ogni insegnante e soprattutto ogni studente, si rapporta con il contesto socio-economico, ma soprattutto culturale, nel quale vive. Sicché in ambiti poveri, economicamente e culturalmente parlando, il sistema di verifica è diverso da città in cui lo stile di vita, l’istruzione familiare, il contesto abitativo è più agiato e di conseguenza più pretenzioso. Questo non vuol dire che i docenti di Puglia, Calabria o Sardegna sono di manica larga, ma è evidente che mancando un sistema unico di valutazione, pensiamo solo alla formulazione della terza prova scelta in maniera discrezionale da ogni commissione, il dato non può certo essere considerato veritiero tout court”.