Categorie: Politica scolastica

L’esperienza veneta che ha anticipato la riforma della scuola

Le polemiche dei mesi scorsi sulla “buona scuola”, approvata a luglio, hanno lasciato il passo a importanti riflessioni su come migliorare il servizio ai giovani e alle loro famiglie.

Basta polemiche, dunque, ma una sana responsabilità per il bene dei nostri ragazzi.

In particolare, per il punto più caldo, cioè la chiamata diretta dei docenti da parte del preside a partire dal prossimo anno scolastico, credo ci sia preoccupazione, da parte di tutti, per garantire saggezza ed equità. In ragione di una “cultura dei risultati”, e non solo di quell’assistenzialismo che, lo sanno tutti, ha creato tanti problemi e ingiustizie. In poche parole, i docenti bravi avranno tutto da guadagnare, in termini di riconoscimento e di stima, al di là di questioni stipendiali. Ma la stessa cosa vale e varrà per i presidi, che saranno valutati sulla qualità del loro servizio. Come è giusto.

Questo punto, della valutazione dei valutatori, è una svolta epocale della nostra scuola, perché legato all’introduzione di quell’etica della responsabilità che noi pretendiamo dai nostri ragazzi e dalle loro famiglie al momento delle valutazioni, la stessa che poi, a volte, neghiamo a noi stessi. Presidi, docenti, personale tutto.

Come dicevo, a dire il vero, non è una pratica del tutto nuova in terra veneta. Perché in passato già attuata nelle scuole sedi delle maxi-sperimentazioni. Senza che nessuno avesse qualcosa da obiettare.

Parlo, tra queste scuole, del mio Liceo. Erano gli anni settanta e ottanta.

In queste scuole i presidi, con l’ausilio di un comitato di valutazione presieduto dallo stesso preside, avevano la possibilità di scegliersi i migliori docenti. Ed il loro lavoro era di continuo monitorato, con l’intervento di ispettori ministeriali.

Queste scuole sperimentali prevedevano cioè il dispositivo del “comando”, che consentiva loro di selezionare i docenti di ruolo, titolari in altre scuole, ma interessati ad insegnare, a domanda, su posti “vacanti”, in questo Liceo.

In tal modo si garantiva a queste scuole una piena autonomia didattica ed organizzativa, con docenti preparati e interessati ad un percorso di maturazione professionale. I criteri-base delle scelte da parte del comitato di valutazione erano titoli, pubblicazioni, informazioni dalla scuola di provenienza.

Nella mia scuola, in quegli anni, si discuteva persino della abolizione del concetto di “ruolo”, cioè del mito del “posto fisso”. L’abolizione, cioè, della fonte prima di quell’automatismo che troviamo nelle graduatorie che, assieme all’immobilismo degli organici, ha, negli anni, reso sempre più difficile la vita delle scuole. Chiamate a corrispondere, invece, alle nuove domande formative e ai diversi contesti sociali. Una scuola al passo con i tempi, cioè vero “servizio pubblico”.

Gianni Zen

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