L’estate è sempre foriera di novità per la scuola

Come sempre, l’estate è tempo di novità per la scuola pubblica italiana. La Ministra Fedeli ha firmato il Decreto sui “licei brevi” e la Ministra Madia ha annunciato l’autorizzazione del Governo alle oltre 50.000 assunzioni richieste dal MIUR.
Con la riduzione a quattro anni del percorso di licei ed istituti tecnici, l’Italia si conforma ad alcune nazioni europee che già da tempo prevedono il termine degli studi superiori a 18 anni.
Si tratta ancora di una sperimentazione che coinvolgerà fino a 100 classi di diverse scuole che a settembre daranno la propria disponibilità. L’esame di stato non subirà variazioni e l’insegnamento dell’indirizzo sarà garantito come garantito sarà il raggiungimento delle competenze e degli obiettivi di apprendimento previsti per il quinto anno.
L’orario scolastico annuale dovrebbe aumentare per recuperare il quinto anno perso. Ai corsi quadriennali verranno garantiti una disciplina insegnata con la metodologia CLIL e attività laboratoriali. Le attività di alternanza scuola-lavoro dovrebbero svolgersi prevalentemente in estate.
Una sperimentazione quadriennale che dovrebbe preparare il sistema scolastico ad una vera e propria rivoluzione del sistema d’istruzione secondaria. Questa riduzione infatti renderà necessaria la compressione o la selezione dei contenuti sulla base delle competenze ritenute irrinunciabili per ciascuna disciplina, come accade nei licei italiani all’estero in cui nel primo anno si affrontano i contenuti del biennio per poi seguire un curricolo simile a quello degli istituti della madrepatria.
Dal punto di vista economico ed occupazionale è prevedibile, a regime, cioè tra quattro anni qualora il comitato tecnico nazionale incaricato di seguire la sperimentazione la ritenesse efficace, un esubero di diverse migliaia di docenti ed un conseguente sostanzioso risparmio a meno di non reimpiegare il personale in attività di potenziamento, recupero, tutoraggio.
In realtà la necessità di tale riforma è difficile da comprendere poiché se da una parte prevede dei risparmi, dall’altra immette in un mercato del lavoro già in evidente difficoltà un maggior numero di giovani, verosimilmente meno preparati culturalmente. Diventa infatti centrale l’attenzione alle competenze e sempre più marginale quella alle conoscenze che vengono ridotte alle “irrinunciabili”. Conoscenze che i figli delle famiglie abbienti potranno integrare facilmente attraverso esperienze al di fuori del percorso di istruzione secondario, al contrario dei giovani delle famiglie meno abbienti che spesso non possono godere di tali possibilità.
Allora sempre più concreto diventa il sospetto che la scuola pubblica italiana si stia orientando a formare giovani istruiti e specializzati ma privi di quel bagaglio culturale indispensabile per farne cittadini critici.
E poi ci sono le 58.348 assunzioni che riguardano docenti, personale ATA e dirigenti scolastici.
Assunzioni necessarie ma non sufficienti poiché lasciano ancora in una sorta di limbo migliaia di precari, perché ancora molte cattedre saranno assegnate a supplenti e perché il personale ATA vedrà solo in parte coperto il “turn over”. Resteranno ancora molte reggenze per DS e DSGA.

Quindi una scuola che, nonostante gli interventi finora attuati, resta in grave difficoltà, vittima di una discutibile gestione da parte dei governi degli ultimi vent’anni e caratterizzata dalle famigerate “tre i” (impresa, inglese e informatica) caratterizzanti ideologicamente in senso spesso neoliberale.
L’economia di mercato ha infatti necessità di influire su istruzione e formazione dei cittadini dove conoscenze e materie considerate obsolete devono essere sostituite da discipline finalizzate alla produzione di tecnologie utili al mercato.
 
Tutto ciò potrebbe limitare quelle pari opportunità che rappresentano  uno degli obiettivi fondanti dell’istruzione pubblica, motore primo di quella mobilità sociale che dieci anni di crisi economica, affrontata con inefficaci provvedimenti di matrice liberista, hanno di fatto bloccato.
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