All’inizio del Novecento i nostri “nonni” per sopravvivere emigravano con pochi vestiti e parlando il dialetto del luogo natio. All’inizio del Duemila i nostri figli ben vestiti e nutriti vanno all’estero per lavoro o per studio e si esprimono in italiano, ma conoscono poco le lingue straniere. Nel nostro Paese, infatti, non solo non si imparano bene più idiomi, come ad esempio succede in Svizzera, ma non si registra un buon apprendimento neppure di una.
Si verifica anche che la lingua straniera che si inizia a studiare nelle elementari sia poi abbandonata nei percorsi successivi a causa delle cattedre dei docenti.
E’ questo, ora che il riordino dei cicli è una realtà, un errore da non ripetere perché le nuove generazioni hanno bisogno di saper parlare bene più lingua straniere. Lo impongono le nuove tecnologie, la globalizzazione dei mercati ed il processo di integrazione fra le Nazioni.
Sapere esprimersi in un’altra lingua permette il colloquio fra i popoli, favorisce la comprensione di usi, costumi, leggi ed offre migliori opportunità di lavoro. Il principio è valido non solo per l’inglese, sicuramente dominante, ma per tutte le altre lingue, certamente non destinate a sparire. Negli USA ad esempio l’inglese, da tutti conosciuto, sta quasi diventando una seconda lingua preceduta dal cinese, dal coreano e soprattutto dallo spagnolo, parlate dai molti immigrati.
E’ tempo, dunque, che le lingue straniere nel nostro Paese abbiano spazi adeguati sin dai primi anni – che sono poi quelli in cui si apprende meglio – ed abbiano un’importanza simile all’italiano.
Tutti i bambini – e non solo quelli di ceto più elevato ai quali è possibile frequentare scuole private o estere – dovrebbero avere le stesse opportunità. In questo modo si realizzerebbe il principio dell’articolo 1 della legge sul riordino dei cicli, che al comma 1° tra l’altro recita: “La Repubblica assicura a tutti pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le conoscenze, le capacità e le competenze, generali e di settore, coerenti con le attitudini e le scelte personali, adeguate all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro anche con riguardo alle specifiche realtà territoriali”.
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