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L’India si indebita per i progetti educativi, mentre da noi…

“Più che dell’Europa dobbiamo preoccuparci della concorrenza dell’altra parte del mondo: oggi gli studenti più preparati, in particolare nel settore scientifico, sono quelli dell’India”. Chissà quante volte, frequentando convegni, seminari o semplicemente delle riunioni collegiali, docenti ed esperti di scuola hanno ascoltato discorsi del genere. E si saranno chiesti se si tratta di una frase fatta, di un luogo comune, oppure se contiene un fondo di verità. Alla luce di diversi fattori emersi negli ultimi tempi propendiamo per la seconda ipotesi: è un dato di fatti che le università indiane sono ormai tra le più accreditate dei cinque continenti.
Come è un dato reale quello che anche i livelli di scuola inferiori sono particolarmente a cuore di chi governa il Paese: la conferma ci è giunta alcuni giorni fa, quando ci siamo imbattuti nella notizia che la Banca mondiale accorderà un prestito di 1,05 miliardi di dollari (circa 774 milioni di euro) all’India per sostenere precisi progetti educativi. Il prestito si svilupperà su 35 anni, con un periodo di grazia di 10 anni, ed è stato accordato attraverso l’Associazione internazionale per lo sviluppo, la filiale della Banca mondiale che accorda prestiti ai Paesi in via di sviluppo al tasso di interesse più basso. Questi fondi sono “destinati ad allargare – ha sottolineato la Banca mondiale in un comunicato – il numero di alunni nelle scuole e a migliorare la qualità della formazione degli ingegneri nel Paese“.
Insomma, una notizia che conferma, per chi ne aveva bisogno, la necessità di iniziare non solo a preoccuparci. Ma anche di cambiare registro. Perché mentre gli altri Paesi, anche non avanzati, investono nell’istruzione, in Italia le parole d’ordine che il Governo impone ai settori della conoscenza sono: razionalizzazione, tagli e risparmio. In tempo di crisi economica possono anche essere tollerate, ma a patto che di pari passo si parli anche di sviluppo ed investimenti (reali) nella cultura delle nuove generazioni. La progressiva riduzione della spesa per l’istruzione rispetto al Pil ci dice invece che si procede esattamente nella direzione opposta.
Alessandro Giuliani

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