“L’ingrottamento” del cyberbullismo

Le nuove tecnologie e le sue applicazioni favoriscono e/o consolidano la divisione tra le generazioni, dove i rapporti storici sono ribaltati, riconfigurati a favore dei più giovani. In questo contesto, infatti, sono i ragazzi ad assumere il ruolo di “saggi”, di insegnanti nei confronti dei loro genitori. Quest’ultimi, vivono generalmente questo ruolo con una certo disagio, giungendo in molti casi a “gettare la spugna” e quindi consegnando i propri figli alle logiche del mercato. Ora il fenomeno del cyberbullismo va oltre. Si innesta in un contesto di desatellizzazione psicologica del ragazzo dalla famiglia che lo porterà sempre più ad avere come suo riferimento il gruppo dei pari. Questo è costituito da un registro comunicativo, un alfabeto emotivo e affettivo essenziale = atrofia) e da una relazione che nei Social Network si caratterizza a seconda delle opportunità per l’assenza totale o la presenza spesso trasfigurata del corpo. Tutto questo ha un escluso: il genitore, il quale è ritenuto inadatto o incapace a comprendere il loro mondo. E per difendere questa nuova realtà è disposto anche ad adottare filtri o chiusure che in molti casi complicheranno la sua condizione. Questo contesto spiega il diffuso “ingrottamento” del fenomeno del cyberbullismo, effetto dei mutismi, dei silenzi dei ragazzi. Secondo una ricerca, infatti, della Società Italiana di Pediatria (2014) , le vittime del cyberbullismo vivono in solitudine le conseguenze di questo fenomeno ( la ricezione continua e asfissiante di messaggi, materiale multimediale, la rivelazione di informazioni personali o la divulgazione di immagini e video compromettenti…).

Infatti, risulta che il 60% dei maschi e il 49% delle femmine preferisce “difendersi da soli”. A molta distanza seguono le seguenti percentuali abbinate alle suddette risposte:
– Ho informato un adulto(genitore, insegnante…) 16,8%
–  Ne ho parlato con un amico/a 14,2%
–  Ho subito senza fare niente 11,7%
–  Denuncia (con i genitori) alla Polizia Postale 3,2%

Ora se aggreghiamo alcuni dati abbiamo le seguenti situazioni: il 59% – 69 % dei ragazzi “ nasconde a qualunque soggetto” il fenomeno ( “difendersi da solo” unito al “non far niente” ): il 74% – 84% “mette alla porta” i genitori (“difendersi da solo” unito al “non far niente” e al “parlarne con un amico ) Quali le soluzioni a questa operazione di” ingrottamento” , intenzionalmente sottaciuto agli adulti per proteggere il proprio mondo che dovrebbero rilevare per essere aiutati? Attivare il dialogo con i propri figli, guardandoli innanzi tutto “occhi negli occhi” (riprendo una famosa aria di R. Cocciante), non con l’intento inquisitorio ma per comprendere la realtà che vogliono nascondere, comunicando empaticamente di aver bisogno anche del loro mondo per crescere. E questo significa anche mettersi gradualmente accanto a loro per “insegnare e imparare” i sentimenti, gli affetti che diventano progetto, prospettiva di vita.

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