L’articolo di Gian Antonio Stella, pubblicato qualche giorno fa sul Corriere della Sera, continua ad alimentare il dibattito sulla Scuola. In particolare, l’aspetto che il noto giornalista e scrittore ha tenuto a mettere in evidenza è la presunta generosità e manica larga degli insegnanti del Sud che si oppone all’altrettanto presunta giustizia valutativa dei colleghi del Nord.
Per cui, tormentone che si ripete ogni anno in piena estate, alla fine degli Esami di Stato gli studenti del Sud ottengono risultati migliori rispetto ai compagni del Nord, che sarebbero dunque penalizzati.
E questo dato – secondo Stella – cozzerebbe alquanto con il periodico responso delle prove Ocse-Pisa e Invalsi, che dipinge un quadro tutto diverso, con gli studenti del Nord che superano di gran lunga i loro omologhi sudisti in Italiano e Matematica. Si chiede, dunque, il giornalista: “Allora, come la mettiamo? Come possono i monitoraggi nazionali e internazionali sui ragazzi fino a quindici anni segnalare nel Mezzogiorno una scuola in grave affanno e i voti alla maturità una scuola ricca di spropositate eccellenze?”
In realtà, sta proprio qui il punto della questione: sono davvero attendibili questi monitoraggi nazionali e internazionali?
In una recente intervista, il professore Luciano Canfora – filologo classico, storico e saggista di fama internazione, ha espresso un parere non proprio tenero nei confronti della cultura del testing: “Le prove Invalsi sono una mostruosità, una cosa senza alcun senso, che può servire semmai a premiare chi è dotato di un po’ di memoria più degli altri, non chi ha spirito critico. Poiché la scuola dovrebbe essenzialmente far nascere lo spirito critico, la miglior cosa sarebbe eliminare l’Invalsi e restituire i suoi test a chi li ha inventati.” Rincarando la dose, Canfora aggiunge che “Non c’è solo questo. Il vero problema è il tentativo di trasformare i cittadini in sudditi, facendo ciò che è tipico di tutti i sistemi autoritari. Se io tolgo allo studente che si sta formando in anni decisivi della sua vita l’abito alla critica, alla capacità di comprendere e di studiare storicamente, di distinguere, lo trasformo in un pappagallo parlante dotato di memoria e nulla più. Appunto, un suddito, non un soggetto politico. L’Invalsi e tutta la quizzologia di cui siamo circondati è lo strumento per ottenere questo pessimo risultato.” Esagerato? Può darsi, ma come la mettiamo con le proteste, gli scioperi, i boicottaggi contro le prove Invalsi che hanno visto fianco a fianco studenti, docenti e famiglie in tutto il territorio nazionale (non solo al Sud…) Tutti comunisti? No, piuttosto consapevoli che la Scuola è formata da mille realtà e mille contesti diversi: c’è il liceo della buona borghesia dove è comodo e facile fare l’insegnante, c’è l’istituto professionale della degradata periferia urbana dove insegnare è sinonimo di coraggio, determinazione, abnegazione.
Chi protesta, sciopera e boicotta ha forse consapevolezza del fatto che, come diceva Don Milani, “non c’è nulla che sia ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali.”
La stessa, lucida, consapevolezza di Valentina Chinnici, docente di Lettere e presidente del CIDI di Palermo, che reagendo all’articolo di Gian Antonio Stella ha raccontato un significativo aneddoto, con il quale crediamo di poter chiudere questa breve riflessione: “ Mentre mio marito legge racconti di Ulisse alle mie figlie, dalla casetta accanto riecheggia questo grido di una bambina. Sussulto. La guardo di sottecchi: avrà sì e no 9 anni. Armeggia con molta più destrezza di me con scopa e paletta, finché un giovanotto le assesta uno schiaffo sulla guancia. “Non vedi che qua è bagnato?! Levati!”.
Ora, penso a questa bambina in classe. Penso ai suoi insegnanti che la devono valutare. Mi brucia quella frase di Gianantonio Stella secondo cui noi docenti del Sud siamo larghi di voti per una sorta di malintesa solidarietà nella marginalità che in qualche modo condividiamo con tanti nostri alunni. Ebbene, vorrei dire ai tanti Soloni della valutazione, non so se ricordate che qualcuno ha scritto che non c’è cosa più ingiusta che fare parti uguali fra disuguali. E dunque se mia figlia prenderà 9 in italiano tra qualche anno per un qualche compito su Ulisse, di cui sa già tutto come tanti suoi amichetti fortunati, non vedo perché a questa bambina e a sua sorella, bloccata in un seggiolone da due ore senza che nessuno la guardi, gli insegnanti dovranno mettere 4, se si sforza di scrivere in un italiano migliore di sua madre anche se costellato di strafalcioni ortografici. Forse per punirle entrambe di essere nate femmine e di non stare a fare le pulizie.”
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