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L’iperprotezione per un minore equivale al maltrattamento

Con sentenza del 10 ottobre 2011, n. 36503, per la Corte di Cassazione (VI Sezione Penale) l’iperprotezione e l’ipercura verso i minori possono costituire un maltrattamento in famiglia, ex art. 572 del codice penale, il quale recita –testualmente- che “chiunque maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a otto anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a venti anni”.
Nei confronti di G.E., e G.G., rispettivamente madre e nonno materno del minore C.R., la Cassazione ha confermato la sentenza del 19 ottobre 2010 della Corte d’Appello di Bologna, che li ha condannati per il delitto di cui all’art. 572 c.p., confermando così la decisione di condanna 17 maggio 2007 del Tribunale di Ferrara.
Il nonno materno e la madre del minore, in concorso tra loro, quali conviventi con il bambino, hanno assunto atteggiamenti iperprotettivi nei confronti del minore medesimo, consistiti fra gli altri nel non far frequentare con regolarità la scuola, nell’impedire la sua socializzazione (il piccolo ha conosciuto suoi coetanei solo in prima elementare), nell’impartire regole di vita tali da incidere sullo sviluppo psichico del minore con conseguenti disturbi deambulatori, prospettandogli, inoltre, la figura paterna come negativa e violenta tanto da imporgli di farsi chiamare con il cognome materno.
Con sentenza 17 maggio 2007 il Tribunale di Ferrara, all’esito di giudizio abbreviato, il nonno e la mamma sono stati dichiarati responsabili del reato ascritto e condannati alla pena di un anno e quattro mesi, ciascuno. Il Gup ha negato la chiesta sospensione condizionale della pena, che è stata peraltro interamente condonata. Con sentenza 19 ottobre 2010 poi la Corte di Appello di Bologna su gravame degli imputati ha confermato le statuizioni del Gup di Ferrara. E adessp arriva la parola della Cassazione.
Per i giudici di merito gli atti di maltrattamento, nei confronti del minore, si sono materializzati:
a) in atteggiamenti iperprotettivi qualificati come “eccesso di accudienza”, mantenuto e proseguito in età preadolescenziale, con imposizione di atti riservati all’età infantile, nonché nell’esclusione del minore da attività anche didattiche istituzionali, inerenti la motricità;
b) in deprivazioni sociali (impedimento di rapporti con coetanei) e psicologiche (rimozione della figura paterna).
Tali condotte, una volta accertate, sono state nel loro complesso valutate come concretamente idonee a ritardare gravemente nel minore sia lo sviluppo psicologico relazionale (con i coetanei e la figura paterna), sia l’acquisizione di abilità in attività materiali e fisiche, anche elementari (come la corretta deambulazione).
Era stato il padre del bambino, separato dalla madre, a lanciare l’allarme per la situazione nella quale viveva suo figlio con la mamma e il nonno. Il bambino, infatti, era stato educato a respingere e rifiutare anche i contatti con la figura paterna. A causa degli atteggiamenti di mamma e nonno che tendevano a trattare il bambino come se fosse più piccolo dell’età che aveva, il bambino aveva anche difficoltà a camminare.
L’avvocato del padre ricorrente, Heinrich Stowe, denuncia che il bambino vive ancora con la mamma e il nonno. Il papà, che “per legge dovrebbe essere il tutore unico del bambino non lo vede, non lo può abbracciare, non può nemmeno fargli un regalo per il compleanno o per Natale. Il padre oggi ha l’assoluta patria potestà su suo figlio, visto che la madre è decaduta con giudizio definitivo come figura genitoriale, e il giudice tutelare ha affidato il bambino al padre che è l’unico ad avere l’esercizio della genitorialità, ma non riesce ancora oggi vedere suo figlio: firma le pagelle a scuola, ha i contatti con i professori, ma non può incontrarlo, perché l’altra famiglia lo nega”.
L’avvocato Stowe ha accolto con soddisfazione la sentenza della Cassazione, sia per i tempi non particolarmente lunghi, sia per la “cristallizzazione di un reato, che sarà importante per casi assimilabili: la Cassazione ha infatti riconosciuto la figura dei reati di maltrattamenti, non per una violenza fisica imposta. Il dato innovativo è quello dei maltrattamenti non da violenza fisica”.
Nei tre gradi di giudizio la mamma e il nonno si sono difesi dicendo solo che “lo hanno fatto per amore”, sena però specificare che cosa è realmente l’amore. Anche l’amore è regolato da norme etiche, che se pur non scritte, vanno rispettate. Ed in nome dell’amore il bambino conteso tra i duellanti genitori ha tutto il diritto di ricevere l’affetto anche del papà.
Altrimenti è egoismo puro che per il diritto equivale a maltrattamento. E niente ha a che vedere con il troppo amore. 

Per visionare la Sentenza del 10 ottobre 2011, prot. n. 36503, consulta il box “Approfondimenti” di questa pagina.

 
Luigi Mariano Guzzo

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