Categorie: Concorso Dirigenti

L’istituto del concorso sembra superato: perché non cercare vie nuove?

Il caso del concorso a dirigente scolastico della regione Lombardia, annullato dal Tar, ha fatto indignare fin troppe persone, comprese associazioni di presidi e no, tutti col dito puntato contro chi non ha a cuore la stabilità della scuola, insinuando l’idea che una sentenza che non tenga conto di questo principio è già nella sua sostanza sbagliata, tant’è che si disquisisce sulle trasparenze delle buste, causa trainate dell’annullamento, e non già sul principio dell’uguaglianza della legge e della sua imparzialità.
Ma si discute pure sulla ricerca di nuove formule concorsuali e nuove modalità, più svelte e generose, e che garantiscano nello stesso tempo la preparazione dei candidati, individuando appunto i migliori, e la inattaccabilità delle procedure.
In ogni caso al momento c’è da dire che tutti i procedimenti e iter concorsuali messi in opera dal Miur, dal 2004 ai nostri giorni, stanno dando esiti di dubbia certezza, tant’è che i Tar di quasi tutte le regioni sono all’opera per dirimere i contrasti, a significare che qualcosa non funziona. 
In ordine di tempo il prof. Canfora ha fatto rilevare l’inadeguatezza dei testi sui Tfa che, con un po’ di buona volontà, possono rischiare anch’essi l’annullamento. Ma anche se ciò non avvenisse, aggiungiamo noi, il sacro principio del merito, che si pretende dai ragazzi e che è stata la spada della propaganda gelminiana nella scorsa legislatura, prende vie diverse, mentre il sospetto dell’intrallazzo assume le forme dello spettro di Banco.
Ci sarebbe dunque del marcio nell’istituto dei concorsi e a dirlo in questi giorni sono stati in tanti, anche quelli che si sono battuti, nel passato, perché si andasse alla soluzione definitiva, e a qualunque costo, delle procedure già avviate relativi ai concorsi a dirigente scolastico, scavalcando persino le sentenze e la Legge, come è avvenuto per esempio per il concorso del 2004, di cui ancora si correggono i compiti, già corretti all’epoca, dei candidati non ammessi all’orale.
Sicuramente la perfezione, e quindi la certezza dell’equità della Legge e delle sue garanzie, non è di questo mondo, ma fare in modo di avvicinarsi il più possibile ad essa è stato sempre nella intenzione delle democrazie sinceramente democratiche: “è stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora.” Partendo proprio da questo principio, e considerato che le scuole autonome sono delle cittadelle all’interno del sistema pubblico di istruzione, come lo sono le Universitas, la cui etimologia porta appunto all’universo che esse rappresentano, sarebbe interessante incominciare a valutare l’idea dell’elezione del preside all’interno di ciascuna “università” scolastica. Non ci sarebbe più una legittimazione concorsuale del capo d’Istituto, dubbia e imposta magari da norme ad personas, ma quella della più trasparente elezione democratica da parte dei suoi colleghi e che, similmente alla proclamazione del sindaco per il Comune, consente al preside pro tempore di fare le scelte che ritiene migliori per la “comunità” che rappresenta in nome di tutti i soggetti che, dandogli la fiducia col voto libero e democratico, vivono e operano in quella istituzione in stretta comunione di interessi e prospettive.
Le grandi innovazioni si misurano anche su questi fronti e cercando di fare della scuola un luogo di partecipazione e di confronto democratico perfino sull’indirizzo didattico e culturale che ad essa il collegio, col suo preside, vuole imprimere.

Pasquale Almirante

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