Dal 2007 al 2012, dice il Sole 24 ore, in quasi tutti i Paesi europei si è avuto un aumento del tasso di disoccupazione giovanile con un record (prescindendo dalla Grecia) di 35 punti percentuali in Spagna ma anche con un forte aumento in Italia pari a 13 punti percentuali.
Poi ci sono i giovani NEET (Not in Education, Employment or Training) che sul totale delle persone tra 15 e 24 anni sono quasi al 20% in Italia ma anche in Germania sono al 10%. La perdita di Pil, imputata ai NEET, è stimata in media europea all’1,2% e per l’Italia al 2%. Rispettivamente si tratta di oltre 150 e 30 miliardi persi.
Di fronte a queste gravi situazioni hanno effetto le politiche restrittive di finanza pubblica volute dalla Ue e Uem che hanno aggravato la recessione e la disoccupazione?
Eppure, sostiene il giornale, si potrebbe porre mano a delle politiche per favorire i raccordi tra istruzione e lavoro sia durante i percorsi scolatici sia successivamente, mentre molte sono le politiche per favorire l’ingresso dei giovani nel lavoro e per aumentare la probabilità ch’essi vi rimangano.
Bisognerebbe dunque investire nell’istruzione e nella formazione, cosa che l’Italia non ha fatto in passato.
Per prima cosa dunque occorrerebbe favorire il completamento delle scuole secondarie superiori per l’entrata nel lavoro, per la successiva formazione continua, per i passaggi di mansioni, per le progressioni di carriera.
In secondo luogo occorrerebbe favorire o offrire percorsi di istruzione con formazione professionale, utile da un lato per favorire il passaggio dalla scuola al lavoro e dall’altro per evitare gli abbandoni per gli studenti non portati ad una istruzione strettamente scolastica.
Il modello di maggiore successo è il sistema duale tedesco che combina istruzione scolastica con apprendistato in una coniugazione virtuosa. In forma più tenue ci sono attività di lavoro part-time durante gli studi.
La terza politica riguarda un sistematico tutorato informativo, sia durante l’iter scolastico obbligatorio sia nelle scelte di istruzione o di formazione professionale con riferimento alla domanda di lavoro nei diversi contesti territoriali.
Per fare tutto ciò in Italia ci vorrebbe continua collaborazione tra le istituzioni, le associazioni di imprese, le Camere di commercio, gli operatori del terzo settore in applicazione della sussidiarietà che genera solidarietà creativa per lo sviluppo.
Vi sono però anche iniziative del Governo in carica che vanno nella direzione giusta.
Tra le iniziative corrette di questo governo, segnale Il Sole, c’è il progetto Fixo-scuola-università che punta a realizzare presto 30 mila stage formativi e di orientamento nonché 5 mila contratti di apprendistato di alta formazione e ricerca.
Più interessanti per la loro concretezza ci paiono i poli tecnico-professionali, per collegare filiere formative e produttive, ai quali molto tiene il Ministro Profumo, perché potrebbero correggere quell’anomalia italiana segnalata di recente dal vice presidente di Confindustria Ivan Lo Bello. E cioè che negli ultimi 20 anni mentre la nostra economia aumentava la sua domanda di tecnici di medio livello, gli iscritti agli istituti tecnici scendevano del 30%!
Intanto Ignazio Visco, il governatore di Bankitalia, intervenendo al World Economic Forum, ha detto: “Il mondo è cambiato drammaticamente con la globalizzazione. Dobbiamo adattarci e alzare il livello degli investimenti in istruzione e capitale umano”. E poi ha aggiunto che “investire nell’istruzione penso sia l’unica via” per migliorare il paese. “Bisogna unire gli sforzi di tutti e aumentare il benessere. Bisogna investire e lavorare tutti con maggiore vigore e creare un ambiente favorevole, modificare le modalità e investire di piú nel capitale umano”.