In Italia gli “abbandoni” scolastici rimangono tra i più alti d’Europa: secondo il “Rapporto Italia 2015” dell’Eurispes, presentato il 30 gennaio, il numero di alunni che lasciano la scuola prima dei 16 anni non sono “consoni a uno Stato avanzato”. La media nazionale del fenomeno rimane sopra il livello di guardia: il 17%, contro la media europea che si attesta a quota 11,9%. Solo in Spagna, Portogallo, Malta e Romania la quantità di giovani che lascia prematuramente i banchi di scuola è maggiore della nostra. Per loro, come per l’Italia, l’obiettivo indicato da Bruxelles, il raggiungimento del 10% massimo entro il 2020, rimane quindi impossibile da centrare, almeno nel breve periodo.
Per comprendere la gravità di questa situazione stagnante, occorre ricordare che tra i Paesi che hanno meno alunni “dispersi” figurano la Croazia (3,7%), la Slovenia (3,9%) e la Repubblica Ceca (5,4%): tutte realtà, sulla “carta” meno floride dell’Italia, dove evidentemente il sistema scolastico e organizzativo è organizzato in modo tale da motivare adeguatamente il corpo studentesco.
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Anche per quanto riguarda l’università c’è poco da essere contenti. Esaminando la percentuale di laureati tra i 30 e i 34 anni emerge non soltanto che l’Italia é appena a metà strada dall’obiettivo fissato ma anche che rappresenta il fanalino di coda dell’Europa – 22,4% contro una media dell’Unione del 36,5% – con una differenza anche qui abissale tra uomini e donne che riescono a conseguire il titolo universitario o post-universitario (17,7% contro 27,2%). Anche in questo comparto (istruzione terziaria), l’obiettivo italiano è stato ridimensionato rispetto al target europeo (26- 27% contro il 40% comunitario).
“La verità – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – è che oggi in Italia non si investe adeguatamente per l’Università. E nemmeno si fa un orientamento adeguato: l’ultima legge, in merito, introdotta dall’ex ministro Maria Chiara Corrozza, è fallita clamorosamente. A rendere ancora più complicata la situazione è stato anche l’inasprimento delle tasse d’iscrizione, richieste dagli atenei agli studenti fuori corso, aumentate di cifre che vanno dal 25% al 100%”.
Anche per quanto riguarda la scuola, commenta sempre il sindacalista, “a far precipitare la situazione italiana è stata la politica al risparmio adottata per la scuola negli ultimi sei anni. Ad iniziare dalla riduzione di un sesto del tempo scuola: cancellando centinaia di ore di offerta formativa l’anno abbiamo fatto precipitare la nostra quantità formativa tra le più basse dell’area Ocse”.
“Riattivare il numero di ore del 1998 sarebbe il vero toccasana – dice ancora il sindacalista Anief-Confedir – perché permetterebbe nello stesso tempo di ripristinare gli organici che avevamo fino a sei anni fa. Comportando, in tal modo, la creazione delle cattedre utili ad assumere non solo i 150mila docenti precari previsti dalla Buona Scuola attraverso sempre i fondi stanziati con i commi 3 e 4 della Legge di Stabilità 2015, ma anche le tante decine di migliaia di precari abilitati, oggi fuori delle GaE, che lo Stato continua ad utilizzare per le supplenze salvo poi considerarli ‘invisibili’ quando si tratta di assumerli”.
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