La fotografia sulla ancora scarsa internazionalizzazione degli istituti scolastici italiani arriva dall’annuale rapporto delle fondazioni Intercultura e Telecom Italia, presentato a Torino presso l’Unione Industriale e ripresa oggi da Il Sole 24 Ore.
Lo studio, con i dati elaborati da Ipsos, ha interessato un campione di 2.275 studenti di Francia, Germania, Polonia, Spagna e Svezia, le cui interviste sono state confrontate con quelle degli 800 studenti italiani interpellati lo scorso anno sugli stessi temi. «Il processo di internazionalizzazione appare disomogeneo sia tra le tipologie di scuola, sia tra le aree geografiche», sottolinea il segretario generale della Fondazione Intercultura, Roberto Ruffino. Che aggiunge: «È evidente che, se lasciato alla discrezione e capacità del singolo, le differenze tendono ad accentuarsi, cristallizzando il generale livello di internazionalizzazione della scuola: le poche scuole particolarmente attive lo diventano sempre più, ma non possono compensare l’assenza di attività nella maggior parte degli istituti; è necessario un intervento che armonizzi il processo».
Nonostante gli istituti italiani risultino i meno attivi tra i Paesi europei considerati, dalla ricerca emerge tuttavia che la metà delle scuole italiane che sviluppano attività coinvolge percentualmente più studenti che gli altri Paesi, a eccezione della Germania (Italia e Francia: 72%; Germania: 84%; Spagna: 66%; Polonia e Svezia: 56%). I dati si riferiscono in particolare alla percentuale di studenti che hanno partecipato ad almeno un’attività di internazionalizzazione, in quelle scuole che hanno organizzato almeno un’attività internazionale: il numero medio dei progetti organizzati in questo caso sale a 3,1, quasi il doppio rispetto agli altri Paesi (Francia 1,6, Germania 2, Polonia 1,9, Spagna 1,8, Svezia 2,1), mentre siamo secondi solo alla Germania (84%) e alla pari con la Francia, nel tasso di partecipazione ad almeno un progetto (72%), rispetto al 56% della Polonia e della Svezia.
Tra gli interventi più immediati per recuperare “internazionalizzazione” vi sono quelli derivanti dall’utilizzo delle nuove tecnologie che, dati alla mano, favoriscono gli istituti italiani a intraprendere un percorso internazionale (tra le scuole italiane già attive, il 34% ha fatto ricorso alla tecnologia). «Occorre mettere in campo iniziative e programmi quanto più innovativi e sfidanti per agevolare la scuola italiana a migliorare i processi di internazionalizzazione e recuperare velocemente il gap che la penalizza a livello europeo», evidenzia il segretario generale della Fondazione Telecom Italia, Marcella Logli: «Essere cittadini del mondo deve rappresentare, soprattutto per le nuove generazioni, un’occasione unica di sviluppo ed emancipazione, uno straordinario volano di crescita per nuove opportunità professionali e personali, un’ insostituibile esperienza formativa».
Il Ministero dell’Istruzione, in una nota della scorsa primavera (843/2013), ha ribadito formalmente il proprio sostegno a favore delle esperienze di studio all’estero, indicandole come «parte integrante dei percorsi di formazione e istruzione». Eppure, ancora metà delle scuole italiane non attiva iniziative internazionali. Forse è anche questo il motivo per cui solo uno studente italiano su tre (32%) è a conoscenza della possibilità di aderire a un programma di mobilità individuale. In Germania, la percentuale aumenta al 59%, in Svezia al 57%, un po’ meno in Spagna (54%) e Francia (42%); come noi solo la Polonia (31 per cento).
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