Cinque anni di guerra in Siria ha causato «oltre 250mila morti». Ma la cifra è sbagliata, perché si tratta del massacro di un popolo. La realtà è che le Nazioni Unite hanno smesso di aggiornare le statistiche 19 mesi fa, ed è difficile che il bilancio sia reale.
Il Syrian Centre for Policy Research (SCPR) calcola 470mila vittime, una cifra molto più alta che non ha lo stesso bollo di ufficialità ma è più verosimile. Di questo quasi mezzo milione di morti, 400mila è stata vittima diretta delle violenze della guerra, gli altri 70mila per le conseguenze indirette come la mancanza di adeguate cure sanitarie, medicine, soprattutto per le malattie croniche, la mancanza di cibo, di acqua pulita, pessime condizioni igieniche ed abitative.
Secondo lo stesso report circa 11,5% della popolazione siriana è rimasta uccisa o ferita dall’inizio della crisi, poi divenuta in tutto e per tutto una guerra civile; i soli feriti si aggirano attorno a 1,9 milioni, l’aspettativa di vita è crollata dai 70 anni del 2010 ai 55,4 del 2015. I costi economici complessivi di questa mattanza si aggirano attorno ai 255 miliardi di dollari.
{loadposition bonus}
I bambini vittima sono circa 8,4 milioni, pari ad oltre l’80% della popolazione infantile, stima l’Unicef.
In questi cinque anni fuori dal Paese sono nati 306mila piccoli siriani, secondo l’UNHCR, l’agenzia Onu dei rifugiati, 70mila bambini sono nati solo in Libano. In tutto poi, circa 2,8 milioni di bambini non frequentano la scuola (oltre 2,1 milioni vivono in Siria, e 700mila nei Paesi vicini). Si stima inoltre che dopo l’inizio del conflitto siano nati 3,7 milioni di siriani.
Circa 4,6 milioni di persone sopravvivono a stento in luoghi dai quali in pochi riescono a fuggire e che gli aiuti non riescono a raggiungere. La povertà è aumentata dell’85% solo nel 2015.
Devastante anche il bilancio di coloro che fuggono dalla guerra: il 45% della popolazione ha dovuto abbandonare la propria casa, 6,3 milioni si sono spostati all’interno del Paese, 4 milioni sono fuggiti all’estero, lungo le rotte che per mare e per terra, attraverso la Turchia e la Grecia, arrivano fino a noi.