Ed era ora, questa riscoperta unità, vista la distanza speciosa del Governo dalle richieste del popolo della scuola che mai come in questi anni sta subendo angherie inimmaginabili fino a qualche decennio fa.
E che di soprusi si tratti è dimostrato dal fatto che gli unici aumenti salariali cui il personale della scuola può fare affidamento sono gli scatti settennali di anzianità e i benefici legati al contratto e quindi al pareggio con il livello che l’inflazione raggiunge periodicamente.
Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda, dopo un’inutile attesa per l’emanazione della direttiva che avrebbe consentito di ripartire, tra circa un milione di lavoratori, gli importi dovuti in nome dell’anzianità di servizio, si sono ritrovati uniti nella battaglia chiesta da tutti i lavoratori della conoscenza per ottenere il dovuto e il promesso.
Se venire a conoscenza che la direttiva, per ripartire gli importi maturati con gli scatti di anzianità, sarebbe stata bloccata direttamente dal ministro del Tesoro non aggiungere nulla di nuovo al fatto che i docenti non hanno altra strada per vedersi aumentato lo stipendio, già magro in rapporto al resto dell’Ue, rimane tuttavia come un macigno anche il mancato recupero dell’inflazione che prima era legato al contratto di lavoro e alla sua trattativa biennale.
Contratto che secondo le previsioni potrebbe rimanere bloccato fino al 2016 con tutti gli strascichi che esso comporta e le sue pesantezze economiche e giuridiche.
Blocco dunque degli scatti di anzianità e blocco dei salari, anche se l’inflazione sale e anche se il personale della scuola non ha altri elementi alternativi per vedere migliorare le proprie condizioni retributive. Un’ineffabile iniquità di cui nessuno finora nel Governo ha voluto prendere atto, mentre si minacciano aumenti di ore non pagate e dal Miur escono allo scoperto magagne corvine che definire inquietanti appare come una battuta di spirito.
Ma c’è pure un’altra faccenda che inquieta, quella secondo la quale l’Ue starebbe chiedendo all’Italia di togliere gli automatismi di aumento salariale legati all’inflazione e, siccome lo chiede l’Europa, il Governo ha un alibi di ferro per proseguire nelle sue decisioni, visto che essa è la nuova divinità dell’olimpo politico, ma solo per le faccende che fanno comodo.
Più direttamente interessati al momento su quest’altro diktat “unitario ed europeo” i lavoratori del privato, benché sembra comunque un ottimo viatico per innalzare ulteriori steccati nel pubblico e quindi nel settore dell’istruzione.
Se poi i lavoratori della scuola non hanno nessuna altra possibilità normativa per ottenere un euro in più nella busta paga poco importa, mentre nessuno dice agli olimpici europei che questo personale non ha progressione di carriera (tranne quella di fare il dirigente presso scuole ridimensionate) da cui potere attingere una pur minima e ulteriore gratifica pecuniaria, come il resto del pubblico impiego; e nessuno riferisce, anche per rintuzzare dettami strumentali, che il personale dell’istruzione è stato ignominiosamente buggerato dalla promessa dell’ex ministro Gelmini e dall’ex Tremonti che coi risparmi di spesa, ricavati dai tagli epocali, si sarebbero almeno pagati gli scatti di anzianità a quel drappello che annualmente raggiunge il famigerato, ma atteso gradone.
Lo sciopero del 24 dunque è per il comparto scuola una sorta di prova del nove delle sue capacità di compattezza e di unanime richiesta di diritti e di garanzie sindacali e normative, visto pure che nessun alibi politico potrà essere messo sul tavolo di un eventuale insuccesso o di un eventuale non raggiungimento di una partecipazione superiore al 60% di astensione dal lavoro, dal momento che tutte le organizzazioni sindacali, ricompattandosi, stanno chiedendo a tutto il personale di riconquistare diritti sacrosanti che inopinatamente e in nome di un rigore “peloso” sono stati negati.
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