L’Università di Gifu, in Giappone, ha deciso di rifiutare il pressante invito del governo di Tokyo di far cantare ai suoi studenti e docenti il “Kimigayo” nelle sue cerimonie di laurea. Si tratta di una posizione che potrebbe suscitare polemiche, perché il controverso inno nazionale è stato oggetto di un’infuocata polemica negli scorsi anni, arrivata fino alla Corte suprema nipponica.
Il rettore Hisataka Moriwaki ha precisato in una conferenza stampa che intende continuare a far cantare “la nostra amata canzone scolastica” nelle cerimonie, non passando al “Kimigayo.
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A giugno dello scorso anno il ministro dell’Educazione mandò una direttiva a tutte le università, affinché venisse esposta la bandiera e cantato il “Kimigayo” nelle frequenti cerimonie e, già allora, Moriwaki aveva risposto che nell’università “si sarebbe aperta un’accurata discussione” sulla questione. Ma, mentre sulla bandiera non ci sono stati problemi, sull’inno sì.
Il “Kimigayo” è contestato da molti perché ribadisce l’assoggettamento a Sua Maestà l’Imperatore, celebrando un vincolo che ricorda a molti un’epoca finita con la seconda guerra mondiale. Quando, una decina di anni fa, la municipalità di Tokyo tentò d’imporre alle scuole il canto dell’inno, ne nacque una controversia fortissima che finì nei tribunali. Alla fine dell’iter giudiziario, i pro-inno ebbero la meglio: imporre il “Kimigayo” non viola la libertà di pensiero sancita dalla Costituzione. Il primo ministro conservatore lo scorso anno ha chiesto che anche le università si adeguino a questa prassi. Nel 2015 una scuola è stata condannata a pagare il corrispettivo di 4 milioni di dollari per essersi sottratta all’obbligo di far cantare l’inno. (Adnkronos)
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