Tutti in passerella i leader politici e tutti ben disposti a dire la loro per accreditarsi di fonte agli elettori e soprattutto di fronte a coloro che ancora non hanno deciso a chi dare la fiducia, compresa quella verso la scheda bianca o la invalidata per colmo di sfregio verso una casta ritenuta per lo più immobile e parolaia.
E allora, ogni volta che i vari “capi” dei partiti si siedono sulla seggiola dell’intervista televisiva, ci si aspetterebbe un fuoco di fila sui programmi e sulle prospettive da offrire ai cittadini e invece immediatamente ci si accorge che il nostro è un giornalismo strano che sta solo portando allo stremo e allo stremo raccontando una campagna elettore come un salasso da cui spremere tutto l’umore possibile, ma senza conclusione.
Domande inutili, insulse e soprattutto sempre uguali, ma su cui domina come un Moloch stravagante l’interrogativo degli interrogativi: ci sarà l’inciucio? L’accordo sottobanco? Il matrimonio morganatico?
Si parte da qui, da questa “triste figura”, per girare, come fa il professore fissato su un argomento su cui fare cadere l’alunno, e rigirare, per pestare e ripestare sugli stessi temi, le stesse questioni, le solite frasi, le sempiterne promesse senza contradditorio nel tentativo di beccare l’incoerenza per sgridare il politico di turno magari un po’ maldestro: ma non capita, non può capitare.
E mentre il copione si rinnova, dibattito televisivo dopo dibattito televisivo e intervista dopo intervista, ci si rende conto che temi scottanti e nello stesso tempo delicati e di interesse collettivo come sanità e scuola non sono affatto frequentati, non esistono.
Ed ecco la banalità della domanda: perché? Perché di fatti di scuola per esempio non si chiedono ai capi partito notizie di programmi? Ore intere sotto i riflettori delle telecamere e neanche un accenno, a nessuno, delle intenzioni possibili sul futuro dell’istruzione italiana: perché?
È di poco interesse rispetto al lavoro, si dirà. Ma neanche di lavoro in termini precisi si discute, se non nei limiti circoscritti della banalità; così come di tasse che hanno tuttavia il merito, rispetto ad altro, di sviare la banalità stessa ma per cadere nell’assurdo beckettiano, che consiste nell’avere una Nazione del tutto detassata.
Si ha insomma l’impressione che i massimi sistemi, che si celano dietro il grandioso tema dell’inciucio, siano copioni scritti e approntati “ad usum delphini” pur biascicare banalità sopra altre banalità, le solite, le sempiterne minchiate che alla prima occasione verranno semplicemente smentite.
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